Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di tipologie contrattuali flessibili e, precisamente, di contratti di formazione e lavoro, a termine, di somministrazione a tempo determinato, a tempo parziale, nonché del lavoro accessorio. Tuttavia, tale facoltà è limitata alle ipotesi in cui sia necessario “rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo ed eccezionale”. Per le esigenze connesse con il proprio “fabbisogno ordinario”, invece, le pubbliche amministrazioni possono assumere “esclusivamente” con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, così rimarcando una ulteriore notevole differenza dal lavoro privato. I contratti di collaborazione coordinata e continuativa possono essere stipulati solo con “esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria”, previo accertamento da parte dell’amministrazione dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno.
La violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori non può dar luogo alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, poiché ciò comporterebbe un aggiramento dei principi di trasparenza ed imparzialità che debbono presiedere alla selezione dei pubblici impiegati. Il lavoratore ha, però, diritto al risarcimento dei danni, con obbligo per l’amministrazione di rivalersi sul dirigente responsabile, che abbia agito con dolo o colpa grave. Al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile, inoltre, non può essere erogata la retribuzione di risultato.
Con la stessa logica, “fino al completo riordino della disciplina dei contratti di lavoro flessibili da parte della pubblica amministrazione”, questa ultima è esclusa dalla disposizione che prevede l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni coordinate e continuative “esclusivamente personali” ed “organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. Si è dubitato che la tutela soltanto risarcitoria prevista in caso di abuso nella reiterazione di contratti a tempo indeterminato non sia conforme alla direttiva 70 del 1999 della Comunità Europea.
Nel decidere la questione, la Corte di giustizia ha affermato che la legislazione nazionale non deve necessariamente prevedere che la sanzione, in caso di abuso, consista nella trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, potendo essere prevista altra forma di sanzione, anche risarcitoria; è, però, necessario che la sanzione sia “proporzionata”, “energica” e “dissuasiva”. In effetti, il legislatore si trova a dover tenere conto del fatto che presso le pubbliche amministrazioni si è verificato nel passato il ricorso intensivo a forme di lavoro flessibile per far fronte ad esigenze permanenti e durevoli, che ha determinato la crescente aspettativa dei lavoratori utilizzati di essere assunti a tempo indeterminato.
Tale aspettativa, però, si pone in contrasto con la Costituzione che stabilite che le assunzioni a tempo indeterminato devono avvenire mediante pubblico concorso aperto a tutti. Per conciliare tali esigenze, il legislatore ha previsto, con norme generali o settoriali, la possibilità di prevedere le cd. “stabilizzazioni”, e cioè di riservare parte dei posti disponibili al personale cd. precario in possesso di determinati requisiti minimi, e che abbia comunque superato procedure selettive.
Un problema diverso, infine, si è posto con riguardo ai soggetti vincitori di concorsi pubblici per l’assunzione a tempo indeterminato, o risultati idoneo in base a graduatorie vigenti, i quali non possono essere assunti a causa dei reiterati “blocchi” delle assunzioni pubbliche determinati da esigenze di contenimento della spesa. Tali soggetti, in attesa che si realizzino le condizioni per procedere all’assunzione a tempo indeterminato (nel caso dei vincitori di concorso), o per avere la chance di tale assunzione (gli idonei), possono essere assunti a tempo determinato.