La l. n° 146/1990 opera una radicale depenalizzazione, coll’abrogare quegli artt. 330 e 333 cod. pen., che avevano costituito la materia prima per l’elaborazione di tutta la giurisprudenza costituzionale in tema di sciopero nei servizi pubblici essenziali (art. 11). Ai sensi della nuova legge, i lavoratori che si astengono dal lavoro senza rispettare gli obblighi direttamente sanciti dalla legge o, richiesti della effettuazione delle prestazioni indispensabili, non prestino la loro consueta attività sono esposti a sanzioni disciplinari: sanzioni “proporzionate alla gravità dell’inflazione, con esclusione delle misure estintive del rapporto e di quelle che comportino mutamenti definitivi dello stesso” (art. 4 c. 1°). La loro applicazione spetta al datore di lavoro. A questo proposito, esistono due interpretazione degli artt. 4 e 13:
A) Secondo la prima interpretazione, è compito esclusivo della Commissione di garanzia valutare i comportamenti anche dei singoli lavoratori (oltre che dei soggetti collettivi e dei responsabili delle amministrazioni e imprese) e di decidere la comminazione delle sanzioni, senza margini di autonomia per il datore, che dovrebbe limitarsi ad applicarle pena l’irrogazione a suo carico di sanzioni amministrative.
B) Una seconda corrente di pensiero ritiene che la Commissione, valutati negativamente i comportamenti dei soggetti collettivi e delle amministrazioni o imprese, si limiti a prescrivere al datore di lavoro di aprire a sua volta il procedimento disciplinare nei confronti dei lavoratori che abbiano eventualmente realizzato comportamenti devianti; ma il datore rimane libero in concreto, e nel rispetto del principio del contraddittorio posto dall’art. 7 St. lav. , di sanzionare o meno i propri lavoratori.
Inoltre la Commissione riveste un ruolo di primo piano con riguardo alle sanzioni a carico dei responsabili degli enti gestori e delle organizzazioni sindacali; per quanto riguarda i primi, sono previste sanzioni amministrative pecuniarie, tenuto conto della gravità della violazione, dell’eventuale recidiva, del pregiudizio arrecato agli utenti. Per quanto riguarda invece le organizzazioni sindacali che violino le prescrizioni dell’art. 2 (preavviso, indicazione durata, ecc…. ), è prevista la sanzione della sospensione dei permessi sindacali retribuiti, e in alternativa quella dei contributi sindacali; inoltre le stesse organizzazioni possono essere escluse dalle trattative alle quali eventualmente partecipino per un periodo di due mesi dalla cessazione del comportamento.
In seguito alle modifiche introdotte dalla l. 83/2000, è stata considerata l’ipotesi in cui la violazione sia perpetrata da un soggetto collettivo che non sia titolare dei diritti su cui incidono le sanzioni in parola, oppure non partecipi al tavolo contrattuale; in questo caso ricorre la sanzione amministrativa pecuniaria sostitutiva.