La prima reazione del datore allo sciopero dei lavoratori può concretarsi nella serrata.
Essa, a differenza dello sciopero, ha una dimensione individuale, non collettiva, nel senso che può essere attuata da un solo imprenditore.
La serrata consta di due elementi fondamentali, quale la sospensione dell’attività produttiva
e il rifiuto di accettare la prestazione dei propri dipendenti (cui si accompagna ovviamente il rifiuto di corrispondere la retribuzione), allo scopo di incidere sul conflitto.
La serrata non è riconosciuta come diritto (al contrario, quindi dello sciopero), ma dagli interpreti è stata qualificata come libertà , rispetto alla quale è dunque esclusa la rilevanza penale.
In merito la Corte Cost. ha dichiarato illegittimo l’art.502 c.p. che puniva sciopero e serrata per fini contrattuali; ciò però vuol dire che la serrata è stata solo esclusa dai comportamenti penalmente rilevanti se a fini di rivendicazione contrattuale[1], perché in ogni caso non è, come abbiamo detto, ”diritto” al pari dello sciopero.
Non è lecita quindi la serrata volta ad impedire l’esercizio del diritto di sciopero o della libertà sindacale, né è di regola legittima sul piano civilistico; secondo alcuni si tratterebbe di un vero e proprio inadempimento, con conseguente responsabilità contrattuale dalla quale può provenire il risarcimento del sanno per il lavoratore; secondo altri integrerebbe addirittura gli estremi di una mora credendi.
Un’ipotesi controversa è poi quella della c.d. serrata di ritorsione: essa si ha quando il datore decida di chiudere l’azienda, al fine di impedire i danni che uno sciopero può verosimilmente arrecare.
Alcuni vedono qui una legittima forma di difesa, che trarrebbe il suo fondamento dall’art.1460 c.c.; sarebbe pertanto una eccezione d’inadempimento in risposta ad uno sciopero illegittimo.
Altri però pongono il problema della prestazione effettuata da coloro che invece allo sciopero non hanno aderito; anche qui la soluzione sta nel fatto che il rifiuto del datore di ricevere la prestazione è legittima solo quando sia parziale o difforme a quella concordata, mentre al contrario si realizzerebbero gli estremi di una mora credendi.
Un’altra reazione allo sciopero da parte del datore è quella del crumiraggio, che consiste nella sostituzione degli scioperanti con altro personale interno o esterno.
“Crumiro” è comunemente detto il lavoratore che non aderisce allo sciopero e decide di eseguire regolarmente la prestazione di lavoro.
Il problema del crumiraggio sta nel fatto che attraverso lo stesso il datore può neutralizzare di fatto gli effetti dell’astensione.
Alcuni ritengono il crumiraggio sia interno che esterno legittimo, con l’unico limite, per quanto concerne quello esterno di rispettare le norme in materia di collocamento[2], mentre per quello interno il rispetto dell’art.2103 c.c.
Un’altra forma di reazione, rispetto però al solo sciopero illegittimo, potrebbe essere quella dell’irrogazione di sanzioni disciplinari, proporzionate alla gravità dell’infrazione; fatto questo che è oggi pienamente riconosciuto dalla legge 146/90 in materia di sciopero nell’ambito di imprese erogatrici di servizi pubblici essenziali, ma che non ha analoga disciplina per le altre situazioni e pertanto si ritiene che tali sanzioni possano essere comminate solo in caso di sciopero palesemente illegittimo (con gravi danni a cose e/o persone).
In ogni caso le misure disciplinari non devono essere discriminatorie o comunque dirette a colpire i lavoratori che abbiano eventualmente aderito ad uno sciopero (art.15 Stdl). Così a fini antidiscriminatori è stato posto anche il divieto dei c.d. premi antisciopero ( art. 16), che consistono in una maggiorazione del trattamento economico a quei lavoratori che non abbiano preso parte all’astensione. Inoltre è vietato il cd. crumiraggio interno, cioè la corresponsione dei trattamenti di maggior favore nei confronti dei lavoratori disposti a sostituire altri prestatori scioperanti.
Un’ultima reazione può consistere nell’eventuale ricorso ad azioni giudiziarie contro le forme di astensione illegittime.
Gli orientamenti giurisprudenziali sono in materia oscillanti; da un lato c’è che ritiene legittimo tale comportamento quando sia in pericolo la produttività nel senso sopra chiarito; altri (Mazziotti) ravvisano, specialmente quando il ricorso sia esercitato in via d’urgenza ex art.700 c.p.c., gli estremi di una condotta antisindacale ex art. 28: così infatti la Cassazione, quando il ricorso sia palesemente diretto ad impedire l’esercizio della libertà sindacale.
Si può concludere quindi, affermando che il ricorso ad azioni giudiziarie è legittimo solo quando rivolto contro manifestazioni astensive che palesemente risultino illegittime.
La reazione dei datori di lavoro allo sciopero è di solito la serrata, che consiste nella sospensione dell’attività produttiva, con mancata retribuzione dei lavoratori. Come lo sciopero anche la serrata è depenalizzata, anche se la disciplina che in costituzione c’è per lo sciopero non è presente allo stesso modo per la serrata. Il problema della rilevanza penale della serrata concerne l’incostituzionalità dell’art. 502 cp laddove incrimina la serrata per fini contrattuali. Gli interventi della corte in materia di serrata non sono equiparabili a quelli in materia di sciopero.
La corte, riferendosi alla serrata per soli fini contrattuali, ha lasciato aperto il discorso degli altri tipi di serrata. In merito all’interpretazione dell’art. 505 cp, la corte ha adottato un criterio restrittivo, riducendo la legittimità della serrata ai soli fini riguardanti i rapporti di lavoro e sindacali.
Gli altri tipi di serrata saranno sostanzialmente rilevanti penalmente e il datore sarà considerato responsabile nei confronti dei propri lavoratori, dovendo corrispondere loro il dovuto per le giornate lavorative, eventualmente detraendo ciò che era stato guadagnato lavorando altrove.
Altro tipo di serrata è quella di ritorsione, attuata per reagire ad uno sciopero finalizzato a recare danni maggiori rispetto a quelli subiti dai lavoratori. In questi casi si discute se si tratti di una vera e propria serrata. Essa viene giustificata con il ricorso all’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cc. In questo senso viene in questione il pagamento dei lavoratori che non abbiano deciso direttamente l’astensione dal lavoro. In tal senso, il datore di lavoro sarà tenuto a ricevere le prestazioni dei non scioperanti ogni qual volta esse siano funzionali e non dannose per l’azienda.
Un’ulteriore forma di reazione agli scioperi è il rimpiazzamento dei lavoratori aderenti allo sciopero (cd crumiraggio). In questo contesto viene in rilievo il diritto dei singoli crumiri di lavorare, ma anche che ad utilizzare le prestazioni lavorative di questi lavoratori sarà il datore. Il crumiraggio può essere esterno, anche se questa possibilità è remota, oppure interno, sottolineando che non c’è nessuna norma nel nostro ordinamento che obblighi il datore ad un comportamento passivo durante gli scioperi.
Altra reazione del datore è l’irrogazione di sanzioni disciplinari: ciò è possibile per i datori di lavoro nei servizi pubblici essenziali, secondo la legge 146/90. Nei casi non contemplati dalla legge la valutazione non prescinde dal caso concreto. Gli articoli 15 e 16 dello Statuto dei lavoratori sono posti a monitoraggio dell’azione disciplinare del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori scioperanti. I trattamenti maggiorati si distinguono in premi antisciopero, cioè finalizzati a non far aderire allo sciopero, e i premi attribuiti a chi non abbia aderito. questi ultimi assumono i connotati dell’illegittimità se stabiliti dopo l’astensione.
[1] Anche di mera protesta,purché questa sia cmq collegabile ad interessi contrattuali.
[2] Non a caso però la legge 196/1977,in materia di lavoro interinale,vieta la fornitura di lavoro per attività di crumiraggio esterno;tant’è che alcuni (Mazziotti) propendono per inquadrare questa pratica nell’ambito della condotta antisindacale.