L’individuazione delle finalità dello sciopero ci consente di esaminare gli articoli del codice penale che vietavano lo sciopero, oramai eliminati da decisioni della corte costituzionale.
Lo sciopero per fini contrattuali era vietato dall’art. 502 cp., che è stato dichiarato incostituzionale dalla sent. 29/1960. Lo sciopero per fini contrattuali deve intendersi quello rivolto alla stipulazione o al rinnovo del contratto collettivo, che dà luogo ad una controversia economica, una controversia, cioè, avente ad oggetto interessi ancora privi di una regolamentazione giuridica.
Nello sciopero per fini contrattuali rientra, tuttavia, anche quello per la risoluzione di una controversia giuridica, avente ad oggetto interessi per i quali già esiste una specifica regolamentazione, potrebbe essere esercitato per pretendere l’applicazione del contratto collettivo o per affermare l’interpretazione più favorevole ai lavoratori.
Lo sciopero di protesta e di solidarietà individuato dall’art. 505 cp., in pratica venuto meno a seguito della sent. Corte cost. 123/1962. Per sciopero di protesta deve intendersi quello contro un comportamento del datore ritenuto illegittimo od inopportuno; si pensi, in particolare, al licenziamento di un lavoratore o ad una sanzione disciplinare, provvedimenti che nel futuro potrebbero colpire diversi lavoratori.
Lo sciopero di solidarietà si ha quando i lavoratori scioperano per appoggiare le rivendicazioni di altra categoria; la Corte costituzionale ha ritenuto che lo sciopero di solidarietà sia ammesso soltanto quando tra i primi scioperanti ed i secondi esista un’affinità d’interessi (sent. 123/1962). Si rileva che in tal modo il reato di sciopero di solidarietà resta in vita, con l’attribuzione al giudice penale della valutazione dell’affinità d’interessi; la quale, viceversa, dovrebbe competere ai soli sindacati, nella dinamica delle relazioni industriali, cui il giudice, almeno quello penale, dovrebbe mantenersi estraneo.
Lo sciopero di coazione, politico-professionale. Lo sciopero di coazione nei confronti della pubblica autorità viene di solito esercitato per rivendicazioni di carattere politico-professionale, come la modifica del sistema pensionistico, che può avvenire soltanto con legge, non con contratto collettivo.
In base all’art. 40 cost. non si desume che debbano considerarsi espressione dell’esercizio del diritto di sciopero soltanto le astensioni collettive per rivendicazioni nei confronti dello stesso datore; può, viceversa, ritenersi che lo sciopero sia uno strumento di azione sindacale per rivendicazioni non solo nei confronti dei datori, ma anche dei pubblici poteri per vantaggi previdenziali, assistenziali e finanche fiscali. Secondo la Corte costituzionale occorre tuttavia, per la liceità dello sciopero di coazione, che esso non sia diretto a sovvertire 1’ordinamento costituzionale (precisazione pleonastica, in quanto se si mira a sovvertire l’ordinamento costituzionale s’incorre in responsabilità penale quale che sia lo strumento adoperato) ed ad impedire l’esercizio dei poteri sovrani occorrendo tuttavia la specifica intenzione di impedirne l’esercizio (165/1983).
Lo sciopero politico. Lo sciopero per finalità politiche generali – contro l’adesione dell’Italia alla Nato, contro un governo ritenuto antidemocratico – trovava la sua rilevanza penalistica nell’art. 503 cp., che vietava lo sciopero per fini politici. La corte ha affermato l’incostituzionalità di tale articolo, con le precisazioni già esaminate al riguardo dello sciopero di coazione. La corte, tuttavia, ha affermato che lo sciopero politico è soltanto una libertà, non un diritto, con conseguente responsabilità nei confronti del datore (sent. 290/1974). Una tale soluzione si spiega in considerazione del fatto che il datore può subire gli effetti negativi dello sciopero quando sono in questione gli interessi dei lavoratori non quando sono in discussione interessi politici generali estranei alla dialettica delle relazioni sindacali.