L’art. 19 dello statuto e i referendum del 1995
L’articolo 19 ha individuato come soggetti titolari dei diritti sindacali, le rappresentanze sindacali aziendali che fossero costituite ad iniziativa dei lavoratori ed operassero nell’ambito delle:
– Associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale
– Associazioni non affiliate alle precedenti confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva. Il secondo criterio è residuale.
Questa norma è stata oggetto di due referendum abrogativi (1995), uno con esito negativo e l’altro con esito positivo.
Quello con esito negativo investiva l’intera parte della norma. Se avesse avuto esito positivo, titolari di diritti sindacali del titolo III dello statuto sarebbero state tutte le rappresentanze sindacali aziendali costituite ad iniziativa dei lavoratori, senza limitazione alcuna. L’esito negativo ha confermato, invece, la necessità di selezionare i sindacati che hanno accesso alle condizioni di favore previste da questo titolo dello statuto.
E’ stato invece approvato il quesito referendario che si limitava ad investire la lettera a, e, della lettera b, le parole “nazionali o provinciali”. Il risultato è che il titolo III trova oggi applicazione solo per le rappresentanze costituite nell’ambito dei sindacati che abbiano stipulato contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, quale ne sia peraltro il loro livello.
Precedentemente (ai sensi dell’articolo 19) un sindacato per essere considerato rappresentativo, doveva svolgere la sua attività in una pluralità di imprese nell’ambito territoriale. L’abrogazione referendaria dei termini provinciale o nazionale, aumenta la possibilità di costituire r.s.a. Le conseguenze pratiche non sono di gran rilievo. La nozione di maggiore rappresentatività, se conserva la propria forza nell’ambito di altre normative, nello statuto dei lavoratori viene sostituita da quella, di portata almeno apparentemente più attenuata, di effettività dell’azione di rappresentanza.
Questa modificazione ha determinato esiti paradossali in relazione all’intenzione dei promotori del referendum. Gli stessi, con ogni probabilità, non avevano calcolato una conseguenza restrittiva del nuovo testo della norma: un sindacato che non abbia stipulato un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva interessata, se prima poteva accedere all’area privilegiata attraverso la lettera a) dell’articolo 19, oggi si vedrà precluso questo accesso.
La giurisprudenza costituzionale sull’articolo 19 prima dei referendum
L’articolo 19 è stato più volte oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, in relazione agli articoli 39, 3 Cost.
Prima del 1995, la Corte si è pronunziata nel ‘74, ‘88,’90, le eccezioni di illegittimità sono state respinte, ma con letture diverse che entrano in conflitto tra loro.
Secondo la sentenza 6.3.1971 n. 54 la sua funzione è di identificare i soggetti titolari delle posizioni attive, previste dalle norme del titolo III, e non quella di limitare la libertà di costituire rappresentanze sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, che viene garantita all’articolo 14 della stessa legge. Non è da considerarsi illegittimo rispetto all’articolo 3 cost, perché il principio di uguaglianza risulta violato non alla presenza di qualsiasi disparità di trattamento, ma quando la stessa, non abbia giustificazioni e non risponda a criteri di ragionevolezza.
La sentenza 24.3.1988 n.334, fa riferimento alla lettera a, considerandone il carattere solidaristico, dell’opzione a favore del modello intercategoriale, e tale scelta è da considerarsi coerente anche a livello storico.
Nonostante la sentenza 26.1.1990 dia un interpretazione completamente diversa, ancora una volta tale eccezione è stata respinta.
In sintesi: il privilegio in favore dei sindacati maggiormente rappresentativi, nella prima sentenza era solo ragionevole, nella seconda in qualche modo costituzionalmente vincolata, nella terza diventa costituzionalmente obbligatoria.
La giurisprudenza costituzionale sull’articolo 19 dopo i referendum
Dopo il referendum del 1995, la corte costituzionale si è nuovamente pronunciata sull’articolo 19. La pretesa questione di legittimità riguardava la violazione del principio di libertà sindacale e quello di eguaglianza per irragionevolezza del criterio posto dalla nuova formulazione della norma che rimetteva il riconoscimento della rappresentatività del sindacato e della rappresentanza aziendale, costituite nel suo ambito, all’arbitrio del datore di lavoro che è libero di accettare o meno come controparte contrattuale il sindacato stesso.
La Corte Costituzionale con la sentenza 12.7.1996 n. 244 respinge l’eccezione, sostenendo che, anche nella nuova formulazione, non viola l’articolo 39, poiché “ le norme di sostegno dell’azione sindacale nelle unità produttive, in quanto sopravanzano la garanzia costituzionale della libertà sindacale, ben possono essere riservate a certi sindacati identificati mediante criteri scelti discrezionalmente nei limiti della razionalità”, né è violato l’articolo 3, perché questi limiti di razionalità sono rispettati dalle norme in esame. (In pratica né prima né dopo è risultato incostituzionale.).