La disciplina della previdenza complementare assume una significativa espressione. Al fine di compensare e rendere socialmente tollerabile il ridimensionamento delle pensioni pubbliche reso necessario dalla crisi finanziaria del sistema, il legislatore ha regolato e promosso forme di previdenza per l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari, prevedendo, tra l’altro, la progressiva destinazione al loro finanziamento del trattamento di fine rapporto. Così, gli interventi di riforma adottati hanno sostanzialmente finito per modificare la struttura del nostro sistema previdenziale, affiancando alla tradizionale componente a ripartizione costituita dalla previdenza obbligatoria di base una componente volontaria gestita, invece, a capitalizzazione e sulla base di criteri rigorosi di corrispettività, come è la previdenza privata complementare.

Ne è derivato un sistema previdenziale articolato in due sottosistemi distinti quanto a strutture, discipline e caratteristiche, ma aventi una funzione comune. Ed infatti, in coerenza con l’evoluzione descritta, non può più ritenersi che la previdenza complementare sia destinata a perseguire interessi esclusivamente privati, dovendosi prendere atto che anche essa, unitamente alla previdenza obbligatoria riformata, concorre a realizzare la tutela prevista dal comma 2 dell’articolo 38 della Costituzione, ovvero l’obiettivo dell’adeguatezza delle prestazioni pensionistiche.

La previdenza complementare si realizza mediante la costituzione di autonomi fondi pensione, che assumono la forma giuridica di associazioni non riconosciute o di associazioni riconosciute con personalità giuridica. I fondi pensione si suddividono in tre categorie: i fondi pensione negoziali, i fondi pensione aperti e le forme pensionistiche individuali. I fondi pensione negoziali, detti anche chiusi o sindacali, sono istituti dalla contrattazione collettiva o da accordi sindacali, anche aziendali.

Invece, i fondi pensione aperti, detti anche commerciali, sono istituti da intermediari finanziari e, cioè, banche, società di intermediazione finanziaria, assicurazioni, società di gestione di fondi comuni di investimento. Infine, le forme pensionistiche individuali, dette anche piani pensionistici individuali, sono realizzate mediante l’adesione a fondi pensione aperti o la stipula di contratti di assicurazione sulla vita con imprese di assicurazione autorizzate dall’IVASS. Forme pensionistiche complementari possono essere istituite anche dalle regioni, con legge regionale, e dagli enti previdenziali privatizzati, con l’obbligo di gestione separata.

Ai fondi negoziali possono essere iscritti esclusivamente i lavoratori ai quali si applica la disciplina sindacale che li istituisce, mentre ai fondi aperti possono iscriversi tutti i lavoratori, pubblici e privati, autonomi e subordinati, a prescindere da ogni vincolo di appartenenza aziendale, categoriale, professionale o territoriale.

Nonostante la previdenza complementare sia finalizzata ad assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale per concorrere al raggiungimento della garanzia costituzionale dell’adeguatezza, l’adesione ai fondi pensione è tutt’ora libera e volontaria, in coerenza con il principio anche esso costituzionale di libertà della previdenza privata.

La libertà di adesione individuale, però, facendo dipendere dalla volontà del lavoratore l’applicazione o no della tutela pensionistica complementare, pone un problema sia sul piano dei principi, che in termini di conseguenze pratiche. Sul piano dei principi, si evidenzia un elemento di incoerenza con la natura obbligatoria ed anzi necessaria della tutela prevista dall’articolo 38, comma 2, della Costituzione, che non dovrebbe consentire che l’applicazione di tale tutela possa formare oggetto di disposizione da parte del soggetto protetto. Sul piano pratico, ne è derivato che l’adesione dei lavoratori alle forme pensionistiche complementari è stata limitata tra quei lavoratori che, avendo più basse retribuzioni, non possono rinunciare ad una parte di esse per finanziare la propria pensione complementare.

Cosicché rischiano di restare esclusi dall’intervento della previdenza complementare proprio quelle categorie di lavoratori che, alla cessazione dell’attività lavorativa, ne avranno presumibilmente maggior bisogno. Anche in considerazione di ciò il legislatore ha dettato disposizione volte a favorire la diffusione della previdenza complementare. A tal fine, ha previsto un sistema di tassazione agevolato, fondato essenzialmente sul rinvio dell’imposizione fiscale al momento dell’erogazione della prestazione. Inoltre, ha introdotto un meccanismo di conferimento del trattamento di fine rapporto diretto ad orientare al massimo la volontà dei lavoratori affinché essi prestino la loro adesione alle forme pensionistiche complementari.

Il conferimento di tale trattamento può avvenire, infatti, sia con modalità esplicite, che tacitamente, comportando in entrambi i casi l’automatica adesione del lavoratore alla forma pensionistica complementare cui esso è destinato. Il conferimento è esplicito quando il lavoratore, entro 6 mesi dall’assunzione, sceglie la forma di previdenza complementare alla quale destinare l’intero trattamento di fine rapporto. Se decide di mantenere il trattamento di fine rapporto presso il datore di lavoro, la scelta può essere successivamente revocata. Il conferimento è, invece, tacito quando il lavoratore, sempre entro il termine di 6 mesi dall’assunzione, non esprime alcuna volontà.

In questa ipotesi, il trattamento di fine rapporto è destinato in via prioritaria alla forma pensionistica complementare prevista da contratti o accordi collettivi, anche territoriali, e in via residuale alla speciale forma pensionistica complementare istituita presso l’INPS, denominata FONDINPS. Nonostante tali disposizioni, però, la diffusione della previdenza complementare è ancora insufficiente.

E le cause di tale limitata diffusione sono difficili da rimuovere, perché esse possono essere individuate non solo nella difficoltà di contemperare valori ed interessi diversi che in essa sono coinvolti, quali sono quelli della solidarietà e del mercato, ma, soprattutto, nelle conseguenze della crisi economica. Tali conseguenze, infatti, da un lato, limitano le risorse disponibili da destinare allo sviluppo delle forme di previdenza complementare, e, dall’altro lato, provocano il timore da parte dei lavoratori che l’adesione a tali forme determini la maturazione di pensioni di importo non congruo rispetto ai contributi versati.

 

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