Il rapporto tra Stato e sindacati ha ricevuto una profonda innovazione ad opera della legge 300 del 1970, con la quale il legislatore ha perseguito l’obiettivo di promuovere la presenza e l’azione del sindacato nei luoghi di lavoro. La legge ha operato in due direzioni. Per un verso, ha previsto diritti di libertà sindacale a favore, indistintamente, di tutti i lavoratori dell’impresa, quali: il diritto di ogni lavoratore di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro; il diritto di raccogliere contributi e di svolgere attività di proselitismo.
A tutela di tali diritti, ha anche sancito il divieto di atti discriminatori determinati da ragioni sindacali, e il divieto di sindacati di comodo costituiti o finanziati dai datori di lavoro. Infine, ha introdotto uno speciale procedimento giudiziale per la repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro, ossia di quei “comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero”.
Per altro verso, il legislatore ha dettato una specifica disciplina “promozionale” volta a sostenere la costituzione e l’attività di determinate “rappresentanze sindacali aziendali”. Tali rappresentanze sindacali aziendali erano quelle costituite ad “iniziativa dei lavoratori in azienda”, “nell’ambito: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva”.
Il legislatore non ha regolato forma e struttura di tali rappresentanze, in coerenza con il principio della libertà dell’organizzazione sindacale. Per quanto riguarda, invece, l’individuazione dei sindacati nel cui “ambito” possono essere costituite le rappresentanze sindacali aziendali, il legislatore statutario operò una chiara opzione a favore di un modello di organizzazione sindacale non meramente aziendale, e, precisamente, a favore del sindacato di dimensioni e struttura confederale o, quantomeno, nazionale o provinciale.
In altri termini, entrambi i criteri previsti dall’articolo 19 intendevano selezionare i sindacati meritevoli del sostegno legale in relazione alla loro rappresentatività, ma la rappresentatività alla quale veniva attribuita rilevanza non era quella che il sindacato aveva all’interno del singolo luogo di lavoro. Infatti, la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali veniva consentita ai sindacati aderenti alle “confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.
La giurisprudenza ha chiarito che tale qualificazione discende non solo dal numero degli iscritti e dall’effettivo esercizio dell’attività di autotutela, ma anche dalla equilibrata presenza in un ampio arco di settori produttivi e in larga parte del territorio nazionale. Il criterio alternativo annoverato nella seconda ipotesi richiedeva che il sindacato avesse almeno la capacità di stipulare contratti collettivi a livello nazionale o provinciale, applicati all’unità produttiva. Alle rappresentanze sindacali aziendali così costituite sono stati riconosciuti: il diritto di indire assemblee fuori dell’orario di lavoro e, nel limite di 10 ore annue retribuite, durante l’orario stesso; di indire referendum su materie inerenti all’attività sindacale, sempre al di fuori dell’orario di lavoro; il diritto di affissione e, per le unità produttive di maggiori dimensioni, anche il diritto di avere a disposizione un idoneo locale per l’esercizio delle loro funzioni.
Inoltre, per i dirigenti di tali rappresentanze, sono stati previsti una speciale tutela in caso di licenziamento e di trasferimento ed il diritto di fruire di permessi sindacali, retribuiti e non retribuiti. L’insieme di queste tutele e di questi diritti, dai quali derivano corrispondenti obblighi del datore di lavoro e limiti ai suoi poteri, ha realizzato, così, un intervento deciso dell’ordinamento statuale volto a modificare i rapporti di forza esistenti, nei luoghi di lavoro, tra datori di lavoro e sindacato, con l’obiettivo di rafforzare quest’ultimo e la sua attività.
Peraltro, la legge 300 del 1970 ha riconosciuto la competenza delle rappresentanze sindacali aziendali anche in materia negoziale, prevedendo che, per alcune forme di controllo sui lavoratori da parte del datore di lavoro, sia necessaria la conclusione di un accordo con tali rappresentanze. Tenuto conto di ciò, e considerato che l’attività delle rappresentanze sindacali aziendali è regolata dalla legge ed è destinata a svolgere i suoi effetti su tutti i lavoratori dell’unità produttiva, in questi nuovi organismi è stata individuata una forma di rappresentanza assimilabile a quella di natura istituzionale, per distinguerla dalla tradizionale rappresentanze del sindacato di natura associativa.