Il pubblico impiego. Le sue origini storiche
L’impiegato pubblico intratteneva con l’amministrazione un duplice rapporto:
il rapporto organico, o d’ufficio, in base al quale egli era inserito nell’organizzazione amministrativa ed era legittimato ad esercitare i poteri connessi a quell’ufficio;
il rapporto di servizio, dal quale discendevano diritti ed obblighi reciproci, non diversi da quelli del contratto di lavoro.
L’interazione tra i due rapporti aveva indotto a dare maggiore importanza alla relazione funzionale tra pubblica amministrazione e dipendente e quindi a sottolineare il momento dell’autorità da cui discendevano le seguenti conseguenze:
a) il rapporto non si costituiva con il contratto, ma nasceva da un atto unilaterale dell’amministrazione pubblica (provvedimento di nomina) e ciò imprimeva sin dall’origine al rapporto un carattere autoritario;
b) il rapporto era interamente disciplinato da leggi e regolamenti ed era gestito mediante l’emanazione di atti amministrativi sia per l’assunzione, sia per ogni altra vicenda modificativa, che per l’estinzione;
c) la subordinazione era gerarchica e non meramente tecnico – funzionale, cioè connessa con la struttura gerarchica degli uffici nei quali si articola l’organizzazione degli apparati amministrativi;
d) il giudice competente a conoscere delle relative controversie era quello amministrativo. Il rapporto pubblico, a partire dagli anni ’70, ha attraversato una fase di lenta ma significativa trasformazione, dovuta anche ai sindacati.
A questa nuova presenza ha fatto seguito il graduale riconoscimento del metodo della negoziazione collettiva per le varie categorie di pubblici impiegati. Particolare rilevanza ha la L. 2 marzo 1983, n. 93, denominata legge – quadro sul pubblico impiego, sia per favorire l’omogeneizzazione delle posizione giuridiche, la perequazione e trasparenza dei trattamenti economici l’efficienza amministrativa del personale pubblico, sia per avvicinare nei contenuti la normativa dei rapporti di impiego pubblico a quella del lavoro privato. In particolare aveva previsto l’inserimento sistematico dell’accordo sindacale.
Le due fasi della riforma del pubblico impiego ed i principi fondamentali della cosiddetta contrattualizzazione. La più recente miniriforma della dirigenza
La tendenza verso il superamento della divisione del lavoro pubblico da quello privato, è all’origine della delega conferita al Governo dall’art. 2, L. 23 ottobre 1992, n. 421, per l’emanazione di disposizioni volte a ricondurre sotto la disciplina del diritto civile i rapporti di lavoro pubblico ad eccezione di quelli relativi ad alcune categorie dello Stato. Una delle innovazioni fondamentali, conseguente alla cosiddetta contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego, è stata la programmata abolizione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e l’attribuzione al giudice ordinario della competenza relativa alle controversie di lavoro dei pubblici dipendenti.
La L. n. 421 ha tuttavia fatto salvi “i limiti collegati al perseguimento degli interessi generali cui l’organizzazione e l’azione delle pubbliche amministrazioni sono indirizzate”. In attuazione della legge – delega n. 421 hanno fatto seguito, nel corso del 1993, alcuni interventi “correttivi”. Nell’arco di pochi anni, sia l’esperienza maturata nella fase di prima applicazione della riforma, sia l’esigenza di procedere ad un recupero di efficienza e ad una riduzione degli sprechi gestionali nell’ambito della pubblica amministrazione, hanno indotto il legislatore ad avviare una seconda fase del processo riformatore.
Così, con la L. 15 marzo 1997, n. 59 è stato riaperto il termine della delega per la riforma del lavoro pubblico. Va ricordata la nuova delega legislativa in tema di contrattazione collettiva e di rappresentatività sindacale nell’area del lavoro pubblico, cui è stata data attuazione con il D.Lgs. 4 novembre 1997, n. 396.
Accanto a questa vanno segnalate la delega con la “conseguente estensione al lavoro privato nell’impresa”; nonché la delega al governo per estendere il regime privatistico del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali; ed infine la nuova delega relativa alla cosiddetta devoluzione al giudice ordinario di tutte le controversie relative al rapporto di lavoro. A queste deleghe si è data attuazione con i D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, e 29 ottobre 1998, n. 387.
L’esigenza di dare ordine alla disciplina del rapporto di lavoro pubblico ha indotto il legislatore ad intervenire delegando il governo ad emanare un testo unico che ne riordinasse le norme; tale delega è stata assolta con l’emanazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Infine il legislatore ha accentuato la portata del collegamento tra nomine dirigenziali e successione dei governi.