La legge riconosce al datore di lavoro anche una speciale posizione di supremazia, che ha ad oggetto il potere di infliggere sanzioni in caso di violazione da parte del lavoratore degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, ossia degli obblighi di diligenza nell’esecuzione della prestazione dovuta, di osservanza delle disposizioni ricevute per tale esecuzione e per la disciplina del lavoro, e di fedeltà . Le sanzioni disciplinari costituiscono pene private, poiché sono applicate in base ad un potere negoziale riconosciuto dall’ordinamento ad un soggetto privato.
Esse, inoltre, non hanno funzione risarcitoria, poiché possono essere applicate a prescindere dal fatto che l’inadempimento abbia o no procurato danni, e comunque non sono in alcun modo commisurate all’entità del danno eventualmente causato. La previsione di queste particolari pene private (che è una previsione eccezionale nell’ambito del diritto dei contratti) trova giustificazione nell’esigenza di predisporre rimedi di immediata applicazione, idonei ad assicurare la regolare funzionalità del contratto di lavoro e a favorire la “conservazione” del rapporto che da esso trae origine.
La legge 300 del 1970 ha introdotto, oltre alla tutela reale del posto di lavoro, anche rigorosi limiti all’esercizio del potere disciplinare, tra i quali il divieto di disporre “sanzioni disciplinari che comportano mutamenti definitivi del rapporto di lavoro”. L’evoluzione della giurisprudenza ha successivamente condotto a ritenere che anche i licenziamenti motivati da mancanze del lavoratore hanno natura disciplinare, ma ciò all’unico ed esclusivo fine di garantire al lavoratore stesso, in aggiunta alle tutele previste contro i licenziamenti, anche quelle previste per l’esercizio del potere disciplinare.