Una suddivisione ancora rilevante è quella tra lavoratori e lavoratrici, maggiormente rilevante nel passato per le limitazioni del lavoro femminile sancite dalla L. 653/1934, che paragonava il lavoro delle donne al lavoro dei minori, e per le esclusioni delle donne da molte delle carriere pubbliche, come quella dei magistrati, degli appartenenti alle forze di polizia, alle forze armate ed altre.
Le limitazioni e le preclusioni sono quasi del tutto scomparse sia con leggi speciali per le carriere pubbliche, sia per la legge generale 903/1977 che ha sancito la parità formale tra lavoro femminile e lavoro maschile; la parità di trattamento è espressamente prevista dalla Direttiva CEE 96/97/1966.
I divieti di discriminazione. Sono vietate, anche penalmente, le discriminazioni tra uomo e donna nelle assunzioni, nelle offerte di lavoro, nei corsi di formazione e di aggiornamento professionale, estendendosi anche alle discriminazioni indirette che sono quelle fondate su requisiti, come l’altezza, la maternità, il servizio militare, che potrebbero comportare la scelta del personale dell’uno o dell’altro sesso.
Il divieto di discriminazione riguarda anche la carriera che dovrebbe svolgersi senza che possa essere attribuito alcun valore all’appartenenza all’uno o all’altro sesso, con la nullità degli atti discriminatori. Per far valere la nullità degli atti che abbiano favorito lavoratori dell’altro sesso, occorrerebbe l’integrazione del contraddittorio, cioè la chiamata in causa del lavoratore favorito dal provvedimento discriminatorio (litinconsortio necessario).
Le limitazioni ancora in vigore per le donne sono la preclusione di svolgimento dei lavori pesanti ed il divieto, salva autorizzazione dei contratti collettivi, del lavoro notturno nel settore manifatturiero – settore industriale – con esclusione per le donne con funzioni direttive e per quelle addette ai servizi sanitari. Tali limitazioni, se non trovano le loro ragioni nella tutela della maternità (d.lgs. 151/2001), si pongono in contrasto con le pari opportunità sancite dalla direttiva europea 207/76.
La disparità sostanziale tra uomo e donna. La parità formale si è rilevata inadeguata, anche perché sulla donna, continua a ricadere gran parte del carico familiare, con conseguente doppio lavoro che contrasta con le pari opportunità lavorative tra uomo e donna. Per tentare di ovviare alla situazione di debolezza sostanziale della donna, è stata emanata la L.125/1991, con la quale si è cercato d’introdurre il principio della parità sostanziale, e cioè quello di garantire alle donne, con le azioni positive, le pari opportunità. Le difficoltà applicative hanno tuttavia precluso alla legge stessa di realizzare le finalità cui è preordinata.0
La legge non ha elencato le azioni positive, ma ha individuato i soggetti che le possono determinare, quali gli stessi datori, i sindacati, gli organi delle pari opportunità. L’individuazione delle azioni positive dipende dalle situazioni concrete: si pensi agli asili nido, ai corsi speciali di aggiornamento professionale.
Il diritto di precedenza. Si è molto discusso circa il contrasto con la parità di trattamento del diritto di precedenza delle donne nelle assunzioni e nelle promozioni in settori nei quali siano sottorappresentate; si è cmq escluso il contrasto purché il diritto di precedenza, giustificato dalle scarse opportunità delle donne in determinati settori, non pregiudichi il diritto degli uomini ad essere assunti o promossi per la prevalenza dei requisiti di qualificazione in loro possesso rispetto a quelli in possesso delle donne; il diritto di precedenza delle stesse è dunque ammesso a parità di requisiti e di qualificazione. La legge pone disposizioni anche a rafforzamento della parità formale, sancendo la presunzione di discriminazione nel caso in cui la stessa risulti dai dati statici, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del datore che deve dimostrare la non discriminazione.
Ha inoltre previsto una speciale azione cui è legittimato il consigliere delle pari opportunità contro comportamenti discriminatori del datore, con la previsione di una sentenza che predisponga un piano per 1’eliminazione della discriminazione e degli effetti. Tuttavia, anche tale disposizione non è stata quasi mai applicata, così come l’art. 15 L. 903/1977 che attribuisce ai singoli lavoratori discriminati di chiedere un provvedimento di urgenza contro atti discriminatori, con la sanzione penale dell’art. 650 cp., nel caso d’inottemperanza del datore al decreto di dismissione o alla sentenza a seguito dell’opposizione allo stesso decreto.
Le pari opportunità nel pubblico impiego. Una normativa particolare sulle pari opportunità nel pubblico impiego è disposta dall’art. 57 d.lgs.165/2001, con la garanzia che almeno 1/3 dei componenti della commissione di concorso sia formato da donne e con la predisposizione di corsi di formazione cui possano partecipare le lavoratrici, conciliando la vita professionale con quella familiare. È prevista l’emanazione di regolamenti conformi alle direttive impartite dal Dipartimento della funzione pubblica, in conformità con le norme europee.