Il contratto di lavoro a tempo parziale, di cui è richiesta la forma scritta ai fini della prova, può essere stipulato sia a tempo indeterminato che determinato, e si caratterizza per la previsione di un orario di lavoro ridotto rispetto al normale orario individuato ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 66 del 2003. Tale riduzione può essere effettuata riducendo l’orario di ogni singola giornata lavorativa (cd. part time “orizzontale”), ovvero prevedendo l’alternanza di giorni di lavoro con orario pieno e giorni di non lavoro (cd. part time “verticale”), ovvero ancora prevedendo una combinazione tra le due forme, e cioè prevedendo sia periodi di riduzione dell’orario giornaliero di lavoro, sia periodo di non lavoro (cd. part time “misto”).
In tutte e tre le ipotesi, è necessario che nel contratto vi sia la “puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno”. Nella ipotesi di organizzazione del lavoro articolata in turni, è consentito che tale indicazione sia ricavabile “mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite”. La durata e la collocazione dell’orario di lavoro, quindi, non possono essere stabilite e variate, ad arbitrio del datore di lavoro, durante lo svolgimento del rapporto, in quanto devono essere ab origine contrattualmente determinate.
La legge prevede, però, che la durata e la collocazione dell’orario di lavoro contrattualmente stabilite possano essere modificate nel corso del rapporto, entro limiti ed a condizioni determinati. Anzitutto, il datore di lavoro può richiedere al lavoratore prestazioni di lavoro “supplementare”, ossia ore di lavoro svolto oltre l’orario concordato tra le parti (ma pur sempre contenute entro l’orario normale di lavoro stabilito per i lavoratori a tempo pieno).
Tali prestazioni possono essere richieste dal datore di lavoro “nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi”, o, nel caso in cui questi non prevedano una disciplina del lavoro supplementare, “in misura non superiore al 25 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate”. In questa ultima ipotesi, il lavoratore può, comunque, rifiutarsi di svolgere il lavoro supplementare richiesto ove sussistano comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari, o di formazione professionale. Il lavoro supplementare svolto è retribuito con una maggiorazione retributiva.
Il datore di lavoro può, inoltre, chiedere lo svolgimento di prestazioni di lavoro “straordinario”, ossia ore di lavoro svolto oltre l’orario normale previsto per i lavoratori a tempo pieno, nei limiti e alle condizioni previste dal decreto legislativo 66 del 2003. Anche il lavoro straordinario deve essere compensato con una specifica maggiorazione retributiva. Infine, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono stipulare, con atto scritto, clausole c.d. “elastiche”, con le quali è attribuito al datore di lavoro il potere di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa o di aumentare la sua durata.
Nel caso in cui l’utilizzo di tali clausole sia disciplinato dal contratto collettivo applicabile, le parti sono tenute ad osservare tale disciplina, fermo restando che la comunicazione di variazione della collocazione temporale o della durata della prestazione deve avvenire con un preavviso di due giorni lavorativi e che il lavoratore ha diritto ad una specifica compensazione. Nel caso in cui, invece, manchi la disciplina sindacale, le clausole in questione possono essere pattuite dalle parti, sempre in forma scritta, avanti alle commissioni di certificazione.
In tale ipotesi, le parti stesse devono prevedere, a pena di nullità, le condizioni e le modalità di esercizio del potere attribuito al datore di lavoro, nonché la misura massima dell’aumento dell’orario di lavoro. Le modifiche dell’orario devono essere, in ogni caso, remunerate con una specifica maggiorazione retributiva. Il consenso prestato dal lavoratore alla clausola elastica non può essere revocato, tranne ove ricorrano specifiche ipotesi regolate dalla legge.
Al lavoratore a tempo parziale sono riconosciuti i medesimi diritti del lavoratore a tempo pieno, salvo il riproporzionamento dei trattamenti economici e normativi in base alla “ridotta entità della prestazione lavorativa”. Per quanto riguarda alcuni istituti (periodo di prova, periodo di preavviso in caso di recesso, periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia ed infortunio), i contratti collettivi possono prevedere una modulazione della loro durata “in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro”.
Poiché la riduzione dell’orario di lavoro può corrispondere ad un interesse del lavoratore, non solo è consentito che le parti coordino la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, con la sola condizione che l’accordo risulti da atto scritto, ma è anche previsto l’obbligo del datore di lavoro di informare il personale a tempo pieno della propria intenzione di effettuare assunzioni a tempo parziale e di prendere in considerazione le eventuali domande di trasformazione.
Per i lavoratori che si trovino in determinate situazioni di salute o familiari, è riconosciuto il diritto, o una priorità, alla trasformazione del rapporto, nonché il diritto di ottenere successivamente una nuova trasformazione del rapporto, ripristinando il tempo pieno. I lavoratori il cui rapporto sia stato trasformato da tempo pieno in tempo parziale hanno diritto di precedenza nel caso di assunzioni successivamente effettuate dal datore di lavoro per mansioni di pari livello rispetto a quelle svolte.
A protezione della libertà della scelta del lavoratore, è previsto che non costituisce giustificato motivo di licenziamento né il rifiuto di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, o viceversa, né il rifiuto di concordare variazioni dell’orario di lavoro. Sotto il profilo sanzionatorio, è previsto che, ove manchi la prova della stipulazione a tempo parziale del contratto, il lavoratore possa richiedere la giudice la dichiarazione della sussistenza di un rapporto a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla pronunzia giudiziale, il diritto alla retribuzione e ai contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese.
Analoghe conseguenze sono previste anche nel caso in cui il contratto, pur stipulato in forma scritta, non contenga la determinazione della durata della prestazione di lavoro. In questo caso, però, al lavoratore è riconosciuto anche il diritto al risarcimento del danno in relazione al periodo antecedente alla pronunzia con la quale il giudice dichiara la sussistenza tra le parti del rapporto a tempo pieno. Ove, invece, le parti abbiano determinato per iscritto la durata, ma non la collocazione temporale dell’orario di lavoro, il contratto resta a tempo parziale, ma il lavoratore può richiedere che la collocazione temporale venga determinata dal giudice, il quale, a tal fine, tiene conto delle responsabilità familiari del lavoratore e della sua necessità di svolgere altre attività retribuite, nonché delle esigenze del datore di lavoro.
Anche in tale ipotesi, per le prestazioni rese sino alla pronunzia giudiziale, è previsto il diritto alla retribuzione ed al risarcimento del danno. Il risarcimento del danno spetta, altresì, al lavoratore nell’ipotesi in cui egli abbia svolto le sue prestazioni in esecuzione di clausole elastiche, senza che siano stati osservati i limiti, le condizioni e le modalità previste dalla disciplina legale e sindacale. Va, infine, rilevato che il contratto di lavoro a tempo parziale può costituire uno strumento utile per perseguire specifiche finalità occupazionali.
In particolare, è incentivata la trasformazione volontaria del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale da parte dei lavoratori prossimi alla pensione di vecchiaia. Ed infatti, ove i predetti contratti prevedano un “ulteriore incremento dell’occupazione”, tali lavoratori possono richiedere l’anticipazione della pensione di vecchiaia, che è cumulabile con la retribuzione entro il limite massimo del trattamento retributivo percepito prima della riduzione dell’orario di lavoro. Tale beneficio è subordinato alla condizione che i lavoratori di cui trattasi accettino di svolgere una prestazione di lavoro di durata non superiore alla metà del loro orario di lavoro precedente.