La connessione esistente tra politica economica e sociale e politica del finanziamento dei regimi previdenziali attuata mediante la contribuzione previdenziale è confermata dalla disciplina dettata dalla legge per i contratti di riallineamento.

È impossibile una analitica esposizione della disciplina legislativa dei contratti di riallineamento.

Le linee ispiratrice di quella legislazione: la ratio della disciplina dei contratti di riallineamento può essere agevolmente compresa se si tiene conto delle esigenze che essa tende a soddisfare.

Il godimento degli sgravi e della fiscalizzazione ha condizionato all’erogazione di trattamenti non inferiori a quelli previsti dalla contrattazione collettiva nazionale.

Di conseguenza, le imprese che non avevano rispettato tali condizioni non avevano diritto agli sgravi fiscali e alla fiscalizzazione e sarebbero state obbligate a restituire le somme corrispondenti ai benefici indebitamente goduti. Dall’altra, quelle imprese erano anche inadempienti alle obbligazioni contributive.

In questa situazione, il legislatore ha presunto che l’erogazione dei trattamenti retributivi inferiori a quelli previsti dalla contrattazione collettiva nazionale fosse un sintomo delle difficoltà economiche di quelle imprese che avevano potuto sopravvivere e mantenere livelli di occupazione.

È stata avvertita l’esigenza di salvaguardare i livelli occupazionali alleggerendo l’onere della contribuzione previdenziale.

Esigenza è stata soddisfatta abitando l’autonomia sindacale a stipulare contratti di riallineamento e cioè accordi territoriali o aziendali che prevedono programmi di graduale (triennale e a volte quadriennale) riallineamento dei trattamenti retributivi praticati a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

Il trattamento retributivo previsto dai contratti di riallineamento è stato equiparato a quello previsto da contratti collettivi nazionali del settore.