L’art.39 comma 1 Cost, affermando che “l’organizzazione sindacale è libera”, tutela la libertà sindacale a livello individuale. Infatti, riconosce ad ogni cittadino lavoratore il diritto di svolgere attività sindacale, nonché di costituire strutture sindacali o di aderirvi. Tale diritto è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro, così come ribadito dall’art.14 St. Lav.

Dal riconoscimento della libertà sindacale deriva che il lavoratore non può subire discriminazioni per ragioni sindacali nell’ambito del rapporto individuale di lavoro. L’art.16 St. Lav. Vieta al datore di lavoro anche di corrispondere trattamenti economici collettivi aventi finalità discriminatorie:

L’esempio tipico è quello della corresponsione di benefici ai lavoratori che non hanno partecipato allo sciopero.

Per trattamento economico non si intende necessariamente la corresponsione di una somma di denaro, ma qualsiasi concessione del datore di lavoro economicamente valutabile, mentre per essere “collettivo” deve rivolgersi non al singolo lavoratore, ma ad una pluralità di lavoratori.

La norma non prevede la nullità di tali trattamenti, ma l’irrogazione di una sanzione civile nei confronti del datore di lavoro. Si tratta, in realtà, di una norma di dubbia operatività, in quanto i lavoratori non trarrebbero alcun beneficio economico dalla promozione dell’azione nei confronti del datore di lavoro.

Nel nostro ordinamento la garanzia della libertà sindacale si estende anche al lavoratore che non aderisce ad alcuna organizzazione sindacale, e che non esercita alcuna attività sindacale. Si tratta della cosiddetta libertà sindacale negativa: l’art. 15 lettera a) St. Lav., considera infatti illecita la discriminazione nei confronti del lavoratore non aderente ad alcuna associazione sindacale.