I rapporti di lavoro parasubordinato non sono riconducibili ad un tipo legale di contratto, ossia ad un tipo che abbia una sua “disciplina particolare”. Essi costituiscono una fattispecie che comprende una pluralità di contratti tipici e atipici, il cui tratto comune è costituito dalle caratteristiche della collaborazione che si concretizza in una prestazione di lavoro continuativa e coordinata, almeno prevalentemente personale, ma non subordinata.
A seguito e per effetto del riconoscimento legislativo, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa hanno avuto una ulteriore, notevole diffusione. Ma, proprio perché essi hanno alcuni tratti caratterizzanti comuni al contratto di lavoro subordinato, il loro utilizzo è stato spesso fraudolento, ossia diretto a mascherare rapporti di collaborazione aventi, in realtà , natura subordinata. Il legislatore ha previsto, quindi, a partire dal 2003, che le collaborazioni coordinate e continuative fossero consentite soltanto ove risultassero conformi alla disciplina di un nuovo tipo contrattuale di lavoro autonomo, che veniva contestualmente regolato e denominato “contratto di lavoro a progetto”.
A tal fine, salvo eccezioni tassativamente indicate, fu vietata l’instaurazione di rapporti di “collaborazione coordinata e continuativa” che non fossero riconducibili ad “uno o più progetti specifici, programmi di lavoro o fasi di esso”. Senonché, la disciplina del 2003 non è stata sufficiente a reprimere gli abusi, nonostante, peraltro, la giurisprudenza avesse adottato interpretazioni molto restrittive.
Nel 2012, quindi, il legislatore, ha introdotto numerose modifiche, alcune coerenti con l’originaria finalità antifraudolenta, altre, invece, dirette a restringere ulteriormente le possibilità del ricorso al lavoro a progetto. In particolare, il legislatore ha stabilito che “il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi” e che, salvo eccezioni, “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto” allorché l’attività del collaboratore sia svolta “con modalità analoghe” a quella svolta dai dipendenti del committente.
Tali disposizioni comportavano una oggettiva restrizione al lavoro autonomo continuativo, nella misura in cui, da un lato, superavano il tradizionale insegnamento secondo il quale qualsiasi attività lavorativa può essere svolta sia in modo subordinato che autonomo, e, d’altro lato, consideravano di lavoro subordinato anche attività svolte con modalità soltanto “analoghe” e, quindi, diverse da quelle che caratterizzano la prestazione svolta dai lavoratori subordinati. Allo stesso tempo, la legge 92 del 2012 aveva dettato disposizioni volte ad ostacolare un ulteriore fenomeno che si era diffuso per aggirare i vincoli del lavoro a progetto, e, cioè, le cd. prestazioni con “fattura”, ossia le prestazioni lavorative rese “da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”.
Con riguardo a tali prestazioni, era stata prevista una presunzione legale, sia pure relativa, per effetto della quale, in presenza di determinati elementi, esse potevano essere considerate “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa”, con l’ulteriore conseguenza della loro ulteriore, automatica, riqualificazione come lavoro subordinato a causa della mancata “individuazione di uno specifico progetto”.