Fino agli inizi degli anni sessanta il trattamento economico e normativo del pubblico impiego era fissato per legge o per regolamento, in via esclusiva. Il panorama sindacale era contraddistinto dalla diffusa ed influente presenza dei sindacati “autonomi”, mentre i sindacati aderenti alle grandi confederazioni apparivano da esse scollati e tra sé divisi.
Al processo di sindacalizzazione il sindacato andrò affidando, con maggior consapevolezza, un duplice obiettivo: rinnovamento dell’organizzazione pubblica mediante l’intervento sulle condizioni di lavoro all’interno di essa, e superamento delle sperequazioni.
Alla fine degli anni sessanta prese avvio anche il processo di istituzionalizzazione sul piano legislativo della contrattazione nei diversi settori del pubblico impiego (Stato, sanità, enti locali, ecc. ), questo processo trovò la sua sistemazione nella legge quadro del 29 marzo 1983, che forniva un ampio quadro per l’intera disciplina dei rapporti di lavoro pubblico. L’innovazione più significativa consisteva nell’introduzione di una disciplina della contrattazione collettiva secondo un modello unitario valido per tutto l’impiego pubblico, al posto delle diversificate discipline del decennio precedente.
Diversamente dallo Statuto dei lavoratori, che per il settore privato si limita a promuovere l’attività sindacale nei luoghi di lavoro senza regolarla e senza disciplinare la contrattazione collettiva, la legge n. 93 riconosceva e insieme regolava i principali assetti sia dell’azione sindacale sia della contrattazione. Di questa disciplinava gli ambiti (i settori), gli attori, i contenuti, i livelli e l’efficacia.
Sul finire degli anni ’80 però si verifica una progressiva e strisciante ingestibilità della legge stessa, il fallimento precoce della legge quadro.
Dalla presa d’atto dell’impossibilità di rivitalizzare in qualche modo il precedente sistema, comincia la storia della cosiddetta “privatizzazione”, scartata l’ipotesi di una semplice rivisitazione della legge quadro.
Il decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, si presenta anzitutto come intervento sulle fonti. Da un lato viene modificato l’atto posto alla base del rapporto di impiego, che è ora il contratto; dall’altro, al contratto collettivo viene restituito il ruolo di fonte immediata di disciplina del rapporto, con pieno superamento della prospettiva per cui l’accordo sindacale non poteva considerarsi niente di più che una tappa del procedimento di formazione dell’atto amministrativo di recezione.
Il contratto, individuale e collettivo di diritto comune, cosituisce il perno attorno al quale ruota la trasformazione dal pubblico al privato (per questo si parla anche di contratualizzazione). La trasformazione dell’assetto delle fonti viene poi realizzata tramite altri due passaggi:il passaggio di disciplina, che è ora quella contenuta nel codice civil; ed il passaggio di giurisdizione dal giudice amministrativo a quello ordinario.