Contratto a termine nell’era della flessibilità
Il contratto di lavoro a termine ha cominciato ad essere concretamente valorizzato dagli anni 90 del secolo scorso, nella c.d. epoca della flessibilità. Tale flessibilità ha portato l’esigenza di disporre di contratti di lavoro a durata limitata, in modo da poter modulare l’organico in rapporto ai fabbisogni produttivi, che a loro volta derivano dai fabbisogni del mercato (es. attività turistiche, cantieri navali).
Storicamente l’ordinamento ha guardato con sospetto al contratto a tempo determinato, motivo per cui tale tematica presenta aspetti particolarmente delicati e rischi di precarizzazione della forza lavoro. La consapevolezza di questi rischi, tuttavia, nulla toglie al fatto che il contratto a termine rappresenti una possibile via iniziale di accesso al mercato del lavoro. Al contempo, le stesse imprese non possono puntare soltanto su lavoratori a termine, dovendo contare anche su una fascia di organico stabile, che abbia sviluppato un senso di appartenenza e sulla quale effettuare investimenti formativi tesi allo sviluppo di competenze professionali.
Legge n. 230 del 1962 e il concetto di riforma
Il complesso di queste considerazioni portò all’emanazione della l. n. 230 del 1962 (poi abrogata), nella quale si partiva dal concetto che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato fosse la regola e il contratto a termine l’eccezione, prevista in casi tassativi (es. si sostituiscono i lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto).
Un’ulteriore flessibilizzazione fu apportata dall’art. 23 della l. n. 56 del 1987, il quale stabilì che, attraverso contratti collettivi stipulati dalle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative, si potessero introdurre nuove causali che rendessero lecito il ricorso ai contratti a termine. Anche se, in forza di tale legge, le causali aumentavano, tuttavia, il sistema continuava ad essere basato sulla regola del contratto a tempo indeterminato (se un lavoratore veniva assunto a termine in forza di una clausola inesistente egli aveva diritto a veder convertito il suo rapporto).
Una svolta fondamentale si è quindi avuta nella XV legislatura, quando, al fine di attuare la direttiva n. 70 del 1999 della Comunità, è stato emanato il d.lgs. n. 368 del 2001, abrogativo della l. del 1962. Tale decreto, accoglienza le istanze che giungevano dalle associazioni imprenditoriali, ha liberalizzato ulteriormente il ricorso all’istituto, suscitando numerose critiche.
In seguito, nella XVI legislatura, il Governo di centro-sinistra ha promosso una correzione della normativa, rivolta ad attenuare la flessibilità, ribadendo così il carattere relativamente eccezionale dei contratti a tempo determinato. L’esito di tale intervento è stata la disciplina contenuta nella l. n. 247 del 2007, poi ritoccata dalla l. n. 133 del 2008.