Col tempo, è emersa una fattispecie intermedia di lavoro autonomo, la quale, acquisendo una specificità di disciplina, si è distanziata dall’ inesistente disciplina del lavoro autonomo, avvicinandosi a quella del lavoro subordinato. Tale fattispecie attiene a collaborazioni lavorative che presentano tratti di massima simili a quelli della subordinazione (es. integrazione lavorativa del lavoratore nell’impresa, debolezza negoziale del lavoratore).
La prima emersione dell’istanza di tutela a favore di tale figura è avvenuta con la l. n. 533 del 1973, la quale ha istituito uno speciale rito processuale per le controversie di lavoro. Si è ritenuto, infatti, che meritassero l’accesso a tale rito, oltre ai lavoratori subordinati, anche i collaboratori operanti nell’ambito di rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale e di altri rapporti di collaborazione . Faceva così una piena apparizione la figura del collaboratore coordinato e continuativo (co.co.co.), detto anche lavoratore parasubordinato , caratterizzata dai seguenti elementi:
- il carattere coordinato (non eterodiretto) della collaborazione.
È tale coordinamento, in particolare, che marca la labile linea distintiva fra un’integrazione organizzativa debole , quale è quella della figura in questione, e un’integrazione forte , quale si ha nell’ipotesi della subordinazione.
- la continuatività della collaborazione.
- il fatto che la collaborazione sia eseguita attraverso il lavoro prevalentemente personale del collaboratore.
Le estensioni di tutela, per un certo tempo, si sono limitate alle poche ipotesi considerate, proseguendo tuttavia in un momento successivo. Ciò anzitutto nei confronti della più classica categoria di collaboratori coordinati e continuativi, gli agenti di commercio. La parentela di tale categoria con la subordinazione è attestata dal fatto che essa conosce da decenni una contrattazione di tipo collettivo, la quale ha consentito di conferire ai vari accordi lavorativi l’attributo dell’inderogabilità in peius da parte della contrattazione individuale. Persino la legislazione ha preso atto della progressiva emersione di istanze di tutela inderogabile, dal momento che gli artt. 1742 e ss., modificati da vari interventi di riforma, sono stati rivolti a prevedere o a consolidare alcuni importanti diritti a favore della categoria dei collaboratori.
Al di là del caso particolare degli agenti di commercio, una crescente equiparazione tra collaboratori coordinati continuativi e lavoratori dipendenti è stata realizzata anche sul piano previdenziale: laddove per gli agenti esiste un’assicurazione pensionistica obbligatoria, con la l. n. 335 del 1995 è stata istituita un’analoga assicurazione obbligatoria, gestita dall’INPS, nei confronti dei collaboratori coordinati e continuativi generici . Tale riforma ha fortemente ridotto il differenziale di costo contributivo fra i lavoratori dipendenti e i collaboratori. Più di recente, inoltre, è stato previsto l’obbligo di iscrivere i collaboratori all’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali.
Malgrado il progressivo aggravio dei costi sopportati per la loro utilizzazione, il numero dei collaboratori coordinati continuativi è andato crescendo, in ragione dei costi pur sempre inferiori (es. i collaboratori non godono di ferie o assistenza di malattia) e dell’inesistenza, in tali rapporti, di garanzie di stabilità (es. piena libertà di recesso se la collaborazione è a tempo indeterminato).
La maggiore crescita, peraltro, si è avuta presso le amministrazioni pubbliche, onde aggirare il blocco delle assunzioni di ruolo. Rimanendo nel settore privato, comunque, la proliferazione di collaborazioni più o meno fasulle è stata all’origine della svolta legislativa del 2003, con la quale è stato introdotto l’istituto del lavoro a progetto