L’art. 1 della Costituzione accosta il principio democratico a quello del fondamento laburista (<<fondata sul lavoro>>). È indiscutibile che in tale art. 1 vi sia molto di più che una mera sottolineatura del <<dovere di lavorare>>, che è infatti specificatamente previsto nell’art. 4 co. 2. Il quid plus dell’art. 1, infatti, consiste nel riconoscimento del valore storico del lavoro come caposaldo fondamentale del modello statuale.
Tale riconoscimento, tra l’altro, si salda alla perfezione con il principio democratico, nella misura in cui il <<popolo>>, titolare della sovranità, è anche il detentore di quella ricchezza che è reputata tanto importante da costituire il fondamento della stessa Repubblica. L’art. 1, insomma, sancisce l’avvenuto compimento di un processo di ricomposizione storica: l’inserimento a pieno titolo del Quarto Stato, appunto, il popolo.
Nel riferirsi al <<lavoro>> come astrazione, e non ai <<lavoratori>>, l’art. 1 abbraccia idealmente tutti i membri del consesso sociale in un unico riconoscimento incentrato sul minimo comune denominatore del lavoro. Tale riconoscimento, a sua volta, ha un’influenza diretta sull’orientamento dell’azione politica dello Stato: l’art. 1, infatti, sancisce il principio dell’impegno sociale dello Stato costituzionale.
Ciò acquisito, occorre sottolineare che, nell’affermazione costituzionale relativa al lavoro, è rintracciabile un sottofondo fortemente eticizzante. L’idea del lavoro come attività umanizzante e liberatoria, tuttavia, è piuttosto tarda, risalendo infatti solo all’Otto-Novecento, ovvero all’epoca dell’esaltazione produttivistica conseguente alla Rivoluzione industriale. In precedenza, al contrario, il lavoro (vita activa) era considerato come un’attività secondaria, riservata agli schiavi ed ai ceti inferiori.
L’attuale esaltazione culturale del lavoro, comunque, pur mantenendo un forte valore simbolico, denuncia i segni del tempo, e, se c’è chi la ritiene ancora imprescindibile, essa ha, per altri, qualcosa di moralistico, se non di mistificatorio.