Le controversie riguardanti il sistema dei rapporti tra Stato e Regioni arrivano all’esame della Corte mediante il percorso ordinario in via incidentale, mediante i ricorsi in via principale e mediante la proposizione di conflitti di attribuzione. Queste sono varie tendenze della Corte, che hanno condotto ad alternare, a seconda delle circostanze, letture centralistiche e letture autonomistiche del modello di Stato regionale.
Â
La giurisprudenza costituzionale in ambito regionale ha seguito la storia politico-istituzionale del regionalismo. Al riguardo possiamo individuare quattro fasi principali:
- anni 1956-70 (solo regionalismo speciale): la Corte asseconda la politica regionale del Governo, con contenimento della specialitĂ autonomistica, mediante la tecnica del ritaglio delle materie: quando lo Stato formula una disciplina suscettibile di investire una competenza regionale, il ritaglio della materia viene attuato preventivamente. In questo modo lo Stato recupera oggetti di competenza mediante la distinzione tra interessi nazionali e interessi locali, lasciando la legislazione regionale nei limiti stretti degli interessi locali;
- anni 1970-77: si determina una contrapposizione tra due modelli di Stato regionale:
- modello politico, nel quale si valorizza la natura di soggetto costituzionale della Regione, investita della rappresentanza generale degli interessi legati al territorio regionale;
- modello amministrativo, nel quale si reitera la tecnica del ritaglio delle competenze valorizzando al massimo l’interesse nazionale.
La Corte, avallando la tesi amministrativa, contribuisce ad attenuare le caratteristiche costituzionali dello Stato regionale;
- d.lgs. n. 616 del 1977: superata la tecnica del ritaglio mediante l’interpretazione estensiva dell’art. 117, si esalta l’autonomia comunale e si introducono forme di controllo sull’azione regionale. Tale linea prevale nell’indirizzo della Corte, la quale interviene in vari ambiti:
- il parametro dell’interesse nazionale si trasforma da limite di merito (art. 127 Cost.) a limite di legittimità per l’azione regionale, comportando la possibilità di un intervento successivo dello Stato nelle materie regionali in cui tale interesse statale viene toccato;
- il parametro dell’indirizzo e coordinamento viene introdotto dalla legge finanziaria regionale (l. n. 281 del 1970) come limite alle funzioni amministrative regionali, con parallelismo rispetto alle leggi cornice operanti nei confronti della legislazione concorrente. La Corte, con la sent. n. 150 del 1982, aveva sancito come <<lo Stato potesse utilizzare la funzione di indirizzo e coordinamento per limitare non solo l’amministrazione regionale, ma anche la legislazione regionale>>. Tale impostazione, giustificata dal fatto che le materie amministrative e legislative sono inscindibilmente connesse, ha portato ad una subordinazione della legge regionale non solo alla legge quadro statale, ma anche all’atto di indirizzo e coordinamento.
Quest’ultima fase risulta particolarmente contraddittoria: mentre da un lato si accorpano e si ampliano le autonomie regionali, infatti, dall’altro si accentuano i limiti imposti dallo Stato centrale mediante le categorie dell’interesse nazionale e gli atti di indirizzo e coordinamento.