Talvolta è incerto se alcuni tipi di atti rientrino o meno nelle fonti. In molti altri casi può essere arduo stabilire se un singolo atto presenti o meno le caratteristiche proprie di un determinato tipo di fonte. Di regola però può dirsi che l’individuazione delle singole fonti-atto si effettua mediante il ricorso ai criteri formali, che hanno di mira l’autorità competente, il nomen juris. Le leggi di ogni genere, costituzionali ed ordinarie, statali e regionali, rappresentano senza alcun dubbio altrettanti atti normativi; e l’appartenenza ai tipi in questione può considerarsi pacifica ogni qualvolta un certo atto assume il nome di legge e rappresenta il frutto dei procedimenti prescritti in tal senso dalla Costituzione.
Analogamente, il ricorso ai criteri formali risulta necessario e sufficiente allo scopo per quanto concerne i decreti-legge previsti dall’art. 77 della costituzione. Nelle Gazzette ufficiali tali atti sono identificabili con immediatezza in virtù del loro tipico nome. Ed a ciò si aggiungono sia l’iniziale riferimento ai presupposti giustificativi della necessità e dell’urgenza, sia la finale clausola di stile per cui ciascuno degli atti medesimi va “presentato alle Camere di legge”. Ma il nomen juris vale attualmente a contraddistinguere altre fonti, quali le leggi delegate.
Ancora di recente le leggi delegate restavano confuse nella massa di decreti del Presidente della Repubblica, dei quali potevano rappresentare i contenuti; oggi al contrario le leggi stesse sono formalmente ed appositamente qualificate come decreti legislativi. Ed è quella legge ad imporre che gli atti regolamentari del Governo e dei ministri rechino appunto la denominazione di regolamento.
I criteri formali tuttavia non soccorrono o non bastano sempre ad operare l’individuazione di cui si discute. In primo luogo può ben darsi che i criteri medesimi non siano tutti presenti e rispettati nel caso specifico. In secondo luogo, vi sono alcuni tipi di atti-fonte riconosciuti come tali dall’ordinamento italiano vigente, in ordine ai quali non si può ragionare di criteri distintivi ravvisabili sul piano formale. Si pensi specialmente ai regolamenti adottabili dalle competenti autorità del potere esecutivo: tali atti venivano esplicitamente inseriti tra le “fonti del diritto”.
Per essi il nome di regolamento poteva e talvolta può ancora far difetto, senza risultare comunque decisivo allo scopo della loro specifica individuazione. In terzo luogo accade che per interi complessi di atti o di fatti in senso stretto si dubiti se essi vadano o meno inquadrati tra le fonti di produzione normativa. In alcuni casi è stato posto in dubbio se la qualifica di fonte spetti ai regolamenti parlamentari ovvero ai referendum abrogativi: ma interrogativi in parte affini riguardano il nome di regolamento: che a volte si applica ai regolamenti esterni, costitutivi dell’ordinamento generale dello Stato italiano e dunque classificabili per definizione tra le fonti; altre volte si tratta di regolamenti interni, costitutivi di ordinamenti minori.
Ed altre questioni non meno difficili investono le fonti-fatto per eccellenza, cioè le consuetudini. Ad esse le “disposizioni sulla legge in generale” attribuiscono l’impropria e problematica denominazione di “usi”: senza per altro chiarire in che si differenzino gli usi normativi, cui vogliono far riferimento le disposizioni stesse, dagli innumerevoli usi non normativi (quali ad esempio, nel campo del diritto costituzionale, quelle regole di correttezza cui gli organi supremi dello Stato si conformano nei reciproci rapporti, non producendo in tal senso consuetudini costituzionali propriamente dette).
I criteri formali cedono talora il passo ai cosiddetti criteri sostanziali di individuazione delle fonti. Sennonché gli stessi criteri sostanziali si dimostrano profondamente diversi secondo che vengano in considerazione fonti normative dell’uno o dell’altro tipo. Così per quanto attiene alle consuetudini o agli usi normativi, l’essenziale fattore caratterizzante è rappresentato dalla opinio iuris.
La generalità è riferita ad una serie indeterminata ed interminabile di soggetti; sicché la norma stessa riguarda una categoria di potenziali destinatari e non persone preventivamente individuate. A sua volta l’astrattezza è propria della norma stessa sia atta a ricevere una serie di applicazioni indefinite ed indefinibili a priori, anziché limitarsi a risolvere un puntuale ed attuale problema della vita. In altre parole l’astrattezza è intesa come sinonimo di ripetibilità e dunque di generalità nell’ordine temporale, così distinguendosi dalla generalità nel senso stretto, che invece attiene all’ordine spaziale.
Sta comunque di fatto che la generalità-astrattezza può concepirsi quale condizione indispensabile per aversi una disciplina regolamentare, nel senso che l’autorità amministrativa non dispone della “capacità di formare atti legislativi singolari”, derogatori nei confronti di altri regolamenti. Si pensi anche alle ordinanze e agli altri provvedimenti di necessità e urgenza; atti necessitati del genere, pur derogando ad altre norme e pur presentando sovente le caratteristiche della generalità e dell’astrattezza, vanno classificati fra quelli non normativi, in nome di ulteriori e peculiari criteri.
Ciò basta a mettere in luce che non esiste un taglio netto fra gli atti normativi e gli atti amministrativi, fra le consuetudini e gli usi non produttivi di diritto, fra le fonti di produzione in genere e gli atti non costitutivi dell’ordinamento generale dello Stato. Al contrario i confini fra le une e le altre sono contrassegnati da varie zone grigie, nelle quali si collocano atti e fatti giuridici di classificazione incerta o controversa; sicché per qualificarli occorre che gli operatori e gli interpreti, con particolare riguardo ai giudici competenti, tronchino i problemi servendosi ad un tempo dei criteri più diversi, formali e sostanziali: nessuno dei quali si presta però a risolvere da solo ed in via complessiva le questioni in esame, includendo le fonti normative dell’ordinamento italiano ed escludendo tutti gli atti amministrativi o giurisdizionali o comunque mancanti dell’attitudine di creare diritto.