È controverso fino a che punto, nell’ultima fase del processo formativo delle leggi, la promulgazione e la pubblicazione debbano essere funzionalmente distinte. Queste due serie di adempimenti sono infatti accomunate da chi le considera necessarie per integrare l’efficacia della legge, che tuttavia sarebbe già perfetta in virtù della sola approvazione di entrambe le camere. Altri viceversa ritiene indispensabile differenziarle in sede concettuale.

Per meglio intendere i termini attuali della controversia, va ricordato anzitutto che nell’ordinamento statutario e fascista si ponevano in antitesi, fondamentalmente, due concezioni dottrinali della promulgazione.

In realtà la promulgazione rappresenta soltanto l’occasione perché il controllo presidenziale si effettui, ma non si confonde con esso; e ne dà conferma il capoverso dell’art. 74, in cui si dispone che, “se le camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata” malgrado il presidente non abbia ulteriore controlli da effettuare. Inoltre, si sa che il capo dello stato è tenuto a promulgare anche quelle leggi in ordine alle quali molti dubitano che egli disponga del potere di rinvio: quali le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali.

Resta aperto il solo dilemma se la promulgazione attenga unicamente all’integrazione dell’efficacia della legge, sul medesimo piano della pubblicazione; o invece consista nella documentazione della volontà espressa dalle due camere. Preferibile è invece la seconda ipotesi: in base alla quale la promulgazione è indispensabile perché le due concordi deliberazioni delle camere si fondano in un unico atto legislativo imputabile allo stato-persona.

Ciò malgrado, non vi è dubbio che la parte più importante e problematica della disciplina costituzionale concernente la promulgazione consista nelle norme sul rinvio presidenziale delle leggi. Dato il silenzio dell’art. 74 primo comma, ci si chiede anzitutto se l’atto presidenziale si possa fondare, oltre che sugli eventuali vizi di legittimità costituzionale, anche su ragioni di merito o di opportunità politica; la soluzione dev’essere affermativa.

Ma bisogna subito chiarire che le ragioni di merito adducibili dal presidente della repubblica non consistono certo in contingenti argomentazioni di convenienza, formulate dal punto di vista della maggioranza del governo; bensì riguardano il cosiddetto merito costituzionale. Il che peraltro, non toglie che la maggior parte dei rinvii presidenziali concernano la sola legittimità.

Altro problema è poi quello concernente le leggi riapprovate in seguito al rinvio presidenziale, che il capo dello stato consideri ancora contrastanti con la costituzione. Di massima bisogna che il presidente interpreti ed applichi alla lettera la disposizione costituzionale che gli fa obbligo di promulgare. Ma ciò non esclude che in certe situazioni estreme la promulgazione debba venire del tutto rifiutata. Nell’ordinamento italiano, il procedimento legislativo si conclude necessariamente con la pubblicazione della legge.

Al di là della costituzione, la legislazione ordinaria risalente al periodo fascista prevede tuttora un sistema di doppia pubblicazione, sotto forma di stampa della legge nella gazzetta ufficiale e d’inserzione nella raccolta ufficiale degli atti normativi.

Nell’ordinamento vigente si dà comunque preminenza alla pubblicazione nella gazzetta.

In ogni caso la pubblicazione determina l’entrata in vigore della legge, conferendole l’attributo dell’obbligatorietà. Nel nostro ordinamento la legge vige indipendentemente dalla conoscenza che ne abbiano o ne possano avere i destinatari; normalmente le leggi entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione. Ma la vacatio legis può essere soppressa o quanto meno ridotta, tanto che si danno numerosi esempi di leggi entrate in vigore il giorno stesso della stampa di esse in gazzetta. Ed è manifesto che una legge esplicante i suoi effetti con immediatezza diviene obbligatoria senza esser conoscibile in modo ufficiale.

 

 

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