La legge è sempre stata nei regimi parlamentari la fonte più diffusa. Rappresenta il prodotto dell’esercizio della funzione legislativa, spettante al parlamento quale organo direttamente rappresentativo del popolo.
 La sconfitta dei regimi assolutistici ebbe come conseguenza la lenta sostituzione degli stessi, con organi eletti dal popolo (assemblee o parlamenti), nel ruolo di soggetti ai quali spettava il potere di assumere le scelte fondamentali per la nazione. Parallelamente ciò ha comportato un progressivo esautoramento del potere del monarca a favore del parlamento.
 Il progressivo consolidamento degli stati a regime parlamentare, ha influito direttamente sul ruolo del parlamento ed indirettamente sulla produzione delle leggi. Il parlamento è l’organo centrale nell’attuale ordinamento italiano.
 Sono infatti sbagliate le affermazioni secondo le quali “se si diminuiscono i poteri del parlamento si riduce il ruolo di tale organo in favore di un potenziamento del governo, e dunque occorre mantenere inalterati i poteri del parlamento se si vuole che tale organo continui ad essere l’organo del sistema”. Tale affermazione può essere intesa in 2 sensi:Â
- In senso qualitativo, quest’affermazione è vera; è indubbio che il parlamento, deve mantenere tutti i suoi poteri dalla funzione legislativa alla funzione di indirizzo e controllo nei confronti del governo. Privare le camere di anche una sola di queste funzioni muterebbe gli attuali equilibri tra i poteri dello stato.
- In senso quantitativo, quest’affermazione è falsa; la riduzione quantitativa dell’esercizio della funzione legislativa non sminuisce in alcun modo il ruolo delle camere ma anzi lo potenzia. Ne deriva che la diminuzione del carico legislativo consentirebbe alle camere di esercitare in modo più costruttivo sia la stessa funzione legislativa che la funzione d’indirizzo e di controllo.
 Le camere anche se potrebbero evitare di legiferare, in certi casi, attraverso la programmazione dei lavori parlamentari, di fatto sono impossibilitate a frenare le spinte provenienti da grovigli di micro-interessi trasversali, portati avanti cioè da parlamentari appartenenti a partiti diversi, ma uniti nel sostegno di un particolare interesse.
 Lo strumento con il quale inizialmente si pensò di superare la situazione sin qui descritta fu quello della delegificazione consistente nell’approvazione di alcune leggi che, relativamente a grandi gruppi di materie non coperte da riserva di legge, declassassero ad un rango inferiore le disposizioni legislative che tali materie disciplinavano, consentendo l’eventuale successivo intervento del governo, mediante i regolamenti amministrativi. Questa speranza fu però un’ illusione e i motivi furono diversi: la ritrosia delle camere a rinunciare anche temporaneamente alla loro funzione legislativa; e la diffidenza dell’opposizione parlamentare.
 Il fallimento del progetto di una delegificazione preventiva ed “a tappeto ” ha determinato l’introduzione di un diverso e più duttile meccanismo di delegificazione. L’art.17, comma2, della l.23 agosto 1988 n.400 “Disciplina dell’attività di governo e ordinamento della presidenza del consiglio dei ministri”à ha attribuito al governo la facoltà di adottare regolamenti amministrativi per la definizione delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla costituzione, per le quali le leggi, autorizzando la potestà regolamentare del governo, determinano le norme generali della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dell’entrata in vigore delle norme regolamentari.
 Tuttavia il modello di delegificazione illustrato ha rappresentato il primo passo per un’accentuazione della crisi della legge e per il fiorire di ulteriori, anomali, modelli di delegificazione. Infatti le camere, da una parte, si sono attenute sempre meno ai requisiti previsti per adottare i regolamenti in delegificazione. Dall’altro il legislatore ha introdotto nuovi modelli di delegificazione e ha previsto la possibilità di delegificazione in favore di soggetti diversi dal governo; ha reso periodico il ricorso alla delegificazione.
Tale meccanismo ha creato una situazione normativa piuttosto confusa. I regolamenti in delegificazione, pur essendo atti formalmente inferiori alla legge sono di fatto in grado, di determinare l’abrogazione.à occorre quindi stabilire chiarezza.
 Occorre comunque ricordare, la mutata posizione della legge nell’attuale ordinamento giuridico italiano rispetto al precedente. Mentre allora, in regime di costituzione flessibile, la legge era per definizione la fonte suprema onnipotente. Oggi la legge da un lato gerarchicamente subordinata alla costituzione ed alle leggi costituzionali, dall’altro incontra una serie di limiti derivanti da riserve di competenza, stabilite da norme costituzionali, in favore di fonti diverse