La corte, nel pronunciare la sentenza, si deve attenere a ciò che è stato chiesto (petitum) ed al motivo della richiesta (causa petendi) individuati nell’ordinanza di rinvio ( thema decidendum ).
Tale principio ( che è la conferma implicita della rilevanza) sussiste sia nell’ipotesi di istanza di parte sia se il giudizio è proposto ex-officio dal giudice.
I fondamenti di tale principio sono :
1) limitare l’attivismo giudiziario
2) garantire il contradditorio
Spesso la corte giudica anche norme diverse da quelle indicate dal giudice a quo, si parla di :
- estensione della qualcosa, quando la corte ritiene che la questione investa l’intera legge e non la/le singola/e norma/e
- restrizione della qualcosa
La qualcosa non è fissata esclusivamente dal giudice remittente, ma è sempre condeterminata dal giudice a quo e dalla corte.
Eccezioni al principio di corrispondenza sono:
- ampliamento/riduzione di argomenti e termini
- assunzione dei compiti del giudice a quo dalla corte
- illegittimità consequenziale o derivata, che riguarda altre norme la cui illegittimità è una conseguenza delle decisioni adottate dalla corte.
Trova la sua giustificazione nella necessità di eliminare dall’ordinamento il maggior numero di norme illegittime per una più rapida tutela dei valori costituzionali.
Infatti La corte che esamina 1situazione normativa, dovrebbe sempre valutare anche l’intreccio con norme connesse , questa chiave di lettura finisce così col favorire la tesi dell’obbligatorietà della dichiarazione di illegittimità consequenziale.
In ogni norma vi è una parte descrittiva e 1 prescrittiva unite da una ratio. Le norme sono connesse tra loro attraverso le rationes e il giudizio di costituzionalità verte sul confronto tra rationes di norma di legge e norma costituzionale.
Ora , a parte il caso di norme rese inapplicabili da una precedente dichiarazione di illegittimità, quindi non si dovrebbe parlare di illegittimità consequenziale ma di inapplicabilità sopravvenuta (essendo produttive di attività inutili, come ad es le norme che rinviano ad una disciplina invalidata), è importante distinguere tra illegittimità necessaria-automatica e illegittimità consequenziale e derivata.
- Il primo caso si ha quando esiste un nesso logico-giuridico tra le 2 norme , quindi l’ illegittimità dell’una è necessaria perché automaticamente generata dall’altra. Anche se ciò è evidente a tutti gli operatori giuridici e non solo alla corte, non può essere fatta valere autonomamente ma solo dopo una prima dichiarazione di illegittimità.
- Se il nesso è analogico-giuridico, la corte valuta se sussiste l’effetto di una ulteriore illegittimità; si avrà illegittimità consequenziale se è “molto probabile” la conseguenza di illegittimità della norma connessa che, in ogni caso, non potrebbe essere dichiarata autonomamente invalida.
[questione di illegittimità consequenziale. causata da sentenza di rigetto: in teoria potrebbe accadere quando la norma illegittima in esame si ispirasse ad una ratio opposta a quella di una norma salvata dalla corte costituzionale. Ora, anche se teoricamente è possibile che una decisione di rigetto su una norma produca l’incostituzionalità di un’altra, nella pratica, se la corte si pronunciasse nello steso processo rigettando una qualcosa ed accogliendone un’altra del tutto nuova, non sembrerebbe razionale; semmai dovrebbe sollevare un’altra qualcosa. In ogni caso, una sentenza di rigetto, per sua natura, non potrebbe alterare il quadro normativo esistente, quindi non si vede come potrebbe creare un’illegittimità]
- L’illegittimità derivata si ha quando c’è la mera possibilità di un’ulteriore illegittimità. Può essere dichiarata autonomamente ( ossia senza la prima pronuncia di accoglimento) ed è il caso di non identità di norme o rationes ma di semplice somiglianza di rationes.
Gli elementi di sindacato “diffuso” presenti nel sistema di giustizia costituzionale italiano ( es quando i giudici rigettano una qualcosa o applicano una legge che ritengono legittima, effettuano valutazioni, anche se inter partes, sulla validità della legge stessa senza dover necessariamente ricorrere alla corte…o quando i giudici disapplicano sempre inter partes una legge nazionale in contrasto con norme comunitarie senza ricorrere alla corte, etc) dimostrano che il sistema di giustizia costituzionale italiano non è solo misto ma anche meno rigido di quanto sembri
PROCEDIMENTO IN VIA D’AZIONE
Questo procedimento è detto in via d’azione o principale in quanto la questione di legittimità viene proposta direttamente con una procedura ad hoc e non nell’ambito e nel corso di un giudizio.
Abilitati a ricorrere direttamente alla Corte sono unicamente lo Stato e la Regione , e per essi rispettivamente il Governo e la Giunta.
Prima della riforma del titolo V vi erano differenze sostanziali e procedurali a seconda che il ricorso fosse statale o regionale
Con la riforma infatti :
– il governo della Repubblica quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della regione può promuovere la questione di legittimità cost. dinanzi alla corte entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge medesima. [ Secondo il vecchio testo cost.,invece le leggi approvate dal consiglio regionale dovevano essere trasmesse al commissario del governo il quale le inviava al governo per il visto, quindi c’era un controllo preventivo. Il governo poteva rimandare la legge alle regioni se vi riscontrava vizi e qualora avesse la regione approvato nuovamente la legge il governo la impugnava dinanzi alla corte per invasione di competenza e per i vizi costituzionali]
– la regione quando ritenga che una legge o atto avente forza di legge dello stato o di altra regione leda i suoi interessi può adire alla corte entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge. Prima della nuova legge cost. la regione poteva ricorrere alla corte cost. entro 30 giorni per atti o leggi emanate dallo stato ed entro 60 giorni per quelle regionali, ma solo per invasione della sfera di competenza( c’era un controllo successivo).
Con la nuova norma cost. dunque sia lo stato che la regione possono adire la corte in via d’azione successivamente alla pubblicazione.
Si è discusso molto sulla doppio regime di controllo ( prima della riforma à preventivo e successivo ) che faceva pensare ad una disparità di trattamento dovuta ad una presunzione di probabile incostituzionalità delle leggi regionali, e una probabile costituzionalità di quelle statali.
Questa disparità si traduceva in una limitazione dell’autonomia regionale ed a questo proposito si può fare l’esempio dei cosiddetti rinvii plurimi :
Secondo il vecchio art 127 abbiamo detto che le leggi approvate dal consiglio regionale dovevano essere trasmesse al commissario del governo il quale le inviava al governo per il visto, nello stesso termine il governo poteva fare opposizione al visto e rinviare la legge al consiglio per un nuovo esame. Se fosse stata riapprovata tuttavia, poteva essere impugnata ulteriormente entro 15gg dalla comunicazione della riapprovazione della stessa. Spesso accedeva che il Consiglio apportasse modifiche al testo originario della legge, e davanti a queste il governo rivendicava il potere di un nuovo rinvio giustificandolo col fatto che le modifiche avevano trasformato le disposizioni in nuove disposizioni che gli erano sconosciute. La minaccia di molti rinvii sul testo di legge aveva trasformato il giudizio di contestazione sulla legge da parte del governo in una contrattazione vera e propria sulla legge, la stessa regione, preferendo le contrattazione all’ipotesi di impugnazione e di attesa del verdetto della corte, andava incontro alle “proposte” di correzione “consigliate” dal governo… inoltre, il fatto di considerare “nuova” la disciplina legislativa modificata penalizzava ulteriormente la posizione delle regioni così che , una volta investita la corte della questione ha cercato di porvi rimedio distinguendo tra modifiche non sostanziali ( davanti alle quali il governo poteva solo o impugnare o far passare la legge ) e sostanziali ( idonee a legittimare la reiterazione del rinvio). Tuttavia il riconoscimento dell’uno o dell’altro caso spettava sempre in primis al governo e solo dopo alla corte.
Passando al controllo successivo ( con la riforma ) si è cercato quindi di ripristinare la parità di armi tra stato e regione.
Una piena parità però non c’è stata per ciò che riguarda i vizi rilevabili innanzi alla corte ( ossia i motivi dell’impugnazione ). L’asimmetria tra stato e regione in questo senso rimane .
Infatti L’impugnazione statale contro leggi regionali può essere promossa oltre che nel merito ( per violazione dell’interesse nazionale e delle altre regioni ) anche per qualunque vizio di legittimità;
Al contrario il ricorso della regione nei confronti della legge statale può fondarsi solo sull’invasione della sfera di competenza attribuita dalla costituzione.
Questa differenza di trattamento si giustifica col fatto che non essendo le leggi regionali in grado di incidere sui rapporti privati, avrebbero facilmente potuto sottrarsi al sindacato della corte ( nel senso che difficilmente avrebbero potuto ledere situazioni soggettive da provocare impugnazione col procedimento in via incidentale) se non si fosse ammessa l’impugnazione da parte del governo oltre il caso di eccesso di competenza. Questa giustificazione tuttavia è poco credibile visto che ci sono stati parecchi casi di impugnazione per iniziativa privata ( o dello stesso giudice ) e ancor di + dopo la riforma che ha allargato gli spazi di autonomia regionale , idonea ora ad espandersi anche in ambiti tradizionalmente considerati ad essa sottratti.
Dopo la riforma, in sostanza, si esclude che si possa riproporre l’antica asimmetria tra regioni e stato, ma si dichiara anche impossibile una totale equiparazione in ragione della posizione peculiare dello stato stesso in seno all’ordinamento.
Tra gli effetti della riforma, uno di particolare interesse è costituito da una crescita del contenzioso, quindi delle impugnazioni dovuto alle incertezze generate dalla riforma stessa che hanno indotto un aumento della legiferazione e statale e regionale. Ulteriore spinta alla moltiplicazione delle impugnazioni potrebbe essere dovuta alla possibilità che la corte si è data di decidere solo in parte un ricorso, rimandando per la definizione delle parti restanti ad una successiva occasione → si potrebbe quindi avere la simultanea presentazione di + ricorsi contro la stessa legge, ciascuno dei quali avente ad oggetto parti distinte dell’atto.
Ci si chiede se la corte riuscirà a fronteggiare la crescente domanda di giustizia costituzionale o se in questo quadro le antiche proposte di articolare la corte in sezioni o di utilizzare tecniche decisorie e forme di selezione della cause possano aiutare a risolvere il problema.