La riforma del 1963, introdotta da una legge costituzionale, stabiliva che la diversa durata delle due Camere (la legislatura del Senato durava sei anni) fosse eliminata, che nessuna regione potesse avere meno di sette senatori, tranne il Molise e la Valled’Aosta, e che la ripartizione dei seggi tra le Regioni dovesse avvenire in proporzione alla loro popolazione.

Il risultato complessivo, caratterizzato dalla mancanza di una configurazione delle due Camere sufficientemente diversa, conduce quindi a ritenere che attualmente il bicameralismo non abbia una vera giustificazione, che si avrebbe solo se il bicameralismo fosse attuato su base regionale in modo da assumere quella funzione equilibratrice e coordinatrice propria degli Stati caratterizzati da un forte sistema di autonomie territoriali.

 L’unico accenno al monocameratismo, attualmente, è rappresentato dal Parlamento in seduta comune (art. 55 co. 2), che però si può riunire solo in tre situazione:

  • per l’elezione e il giuramento del Capo dello Stato.
  • per la messa in stato di accusa del Capo dello Stato.
  • per l’elezione di un terzo dei componenti della Corte costituzionale o del Consiglio superiore della magistratura.

Nel caso della seduta comunela Cameradei deputati prevale in quanto la convocazione e la presidenza sono conferite al suo Presidente (art. 64 co. 2) e suo è anche il regolamento da applicare.

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