Si assiste ad una crescente applicazione del sindacato di ragionevolezza, la cui valenza assumere ormai connotati politici: oltre a favorire un’interpretazione evolutiva della Costituzione, infatti, consente di conferire concretezza ad un giudizio che sul piano formale è sempre riferito a fattispecie astratte. Mediante il criterio di ragionevolezza, in sostanza, la Corte può ancorare le proprie pronunce alla particolarità delle singole controversie.

 La genericità dei principi fornisce alla Corte ampia discrezionalità. Il problema più grave che deriva da tale giudizio, quindi, è quello di evitare che la Corte si trasformi da giudice di legittimità della legge a giudice di opportunità politica della scelta legislativa, sostituendosi al legislatore nella valutazione del merito delle ragioni che hanno portato alla pronuncia normativa. L’orientamento prevalente tende a risolvere tale problema nel ribadire che il giudizio di costituzionalità debba sempre mantenere un aggancio a parametri costituzionali. A prescindere da tutto, comunque, è sempre la motivazione che rende visibile il nesso di ragionevolezza: tanto più aumentano i margini del sindacato di costituzionalità, tanto più si pone l’esigenza di motivazioni che rendano trasparenti le pronunce della Corte.

 Risulta piuttosto probabile che la crescente politicità del controllo costituzionale finisca per favorire, come contrappeso, il manifestarsi di esigenze proprie di altri modelli (es. introduzione delle dissenting opinions come strumento di garanzia della trasparenza del processo di formazione della decisione).

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