Afferma il principio secondo cui:

1) “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere dinanzi la legge” e

2) “Quelle diverse da quella cattolica hanno diritto ad organizzarsi secondo i propri statuti” e

3) “I loro rapporti sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”.

 Proprio riguardo il punto 3) si tratta proprio di stabilire quale sia il vincolo derivante dalle intese, stipulate tra il governo e le rappresentanze di una confessione religiosa diverse dalla cattolica, nei confronti della successiva legge regolatrice dei rapporti tra lo stato e la suddetta confessione religiosa.

 Una prima tesi afferma che le intese non obbligherebbero il legislatore ad uniformarsi ad esse e, pertanto, non potrebbe considerarsi viziata d’incostituzionalità una legge ordinaria i rapporti tra Stato e confessione religiosa non cattolica, prescindendo dall’esistenza delle intese.

 Preferibile appare la seconda tesi che riconosce la natura pienamente giuridica delle intese e dunque del loro valore vincolante per il legislatore; in quest’ottica le intese assumono, rispetto alla legge che danno loro esecuzione, il carattere di una “condizione di legittimità costituzionale”.

 Le leggi regolatrici dei rapporti tra lo stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica va pertanto qualificata come legge atipica, perché il suo procedimento è rinforzato esternamente dalla necessità della previa intesa, perché la sua forza passiva è superiore a quella delle altre leggi, non potendo essere abrogata da leggi ordinarie che non siano precedute da una previa intesa; perché la sua competenza è “specializzata” nel senso che essa può disciplinare soltanto i rapporti tra lo stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica.

 Il problema delle confessioni religiose che non abbaino sottoscritto un’intesa con lo stato ed il cui stato giuridico viene regolato dalla legge n.1156 del 1929.

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