Queste premesse possono concorrere a spiegare il percorso sviluppato dalla Corte italiana, la quale, in forza della prassi costituzionale, si è in parte allontanata dal suo modello originario:
- il modello originario costruiva il giudizio costituzionale come un controllo astratto, fondato su un confronto tra la norma ordinaria e la Costituzione. Da tale controllo, quindi, restavano fuori gli interessi e i valori sottostanti alla disciplina costituzionale. La prassi, al contrario, ha portato a dare sempre maggiore rilievo a tali fattori: l’asse del giudizio di costituzionalità si è spostato dalle norme ai principi, dal mero confronto tra norme al bilanciamento tra interessi concreti sottesi alle norme.
La Corte, peraltro, ha valorizzato il richiamo ai principi fino al punto di individuare un nucleo di principi supremi inderogabili anche in sede di revisione costituzionale e ha tratto da alcuni di essi una categoria di nuovi diritti, non espressamente sanzionati ma implicitamente desumibili dalla Costituzione (es. diritto alla riservatezza, diritto all’identità personale e sessuale);
- l’art. 136 delineava il controllo di costituzionalità come un giudizio destinato a sfociare in una pronuncia alternativa, di accoglimento o di rigetto. La prassi, al contrario, ha notevolmente arricchito lo strumentario delle pronunce costituzionali, creando sentenze interpretative e creative (additive o sostitutive), che hanno permesso alla Corte di interpretare e arricchire il tessuto della formazione ordinaria. Questo è stato reso possibile da una lettura evolutiva del modello costituzionale, fondata sulla distinzione tra disposizione (o formula dispositiva) e norma (o contenuto dispositivo della formula), spostando il sindacato dalla disposizione alla norma, come una delle possibili varianti contenute nella stessa disposizione;
- l’art. 134 qualificava il controllo della Corte come un giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge. I costituenti, in questo modo, intendevano escludere ogni interferenza del sindacato di costituzionalità sul merito (contenuto politico) della legge e sul potere discrezionale del legislatore. Nella prassi il controllo della Corte, mediante il sindacato sulla ragionevolezza desunto dall’applicazione del principio di eguaglianza, si è sempre esteso in direzione del merito della legge, verso una valutazione non solo della legittimità, ma anche dell’adeguatezza della previsione normativa, coinvolgendo un giudizio sostanzialmente diretto a colpire l’eccesso di potere del legislatore.
Le trasformazioni profonde appena citate, comunque, non hanno impedito al nostro sistema di giustizia costituzionale di radicarsi nel tessuto istituzionale, conquistandosi una legittimazione che lo ha reso complementare alle libertà fondamentali: qualsiasi libertà di cui i cittadini godono è il risultato della convergenza tra il dettato costituzionale e la linea giurisprudenziale dettata dalla Corte.