Quanto detto sin qui vale soltanto per le azioni ordinarie: la legge, infatti, consente di riservare agli azionisti trattamenti differenziati tramite l’emissione di particolari categorie di azioni.
L’art. 2348 co. 1 sancisce due principi:
- le azioni devono essere di eguale valore (principio inderogabile).
- le azioni conferiscono ai loro possessori uguali diritti (principio derogabile).
Questo secondo principio, tuttavia, viene derogato dall’art. 2348 co. 2, il quale dispone che si possono creare categorie di azioni fornite di diritti diversi. Fermo quindi l’eguale valore, i diritti possono non essere uguali, perché è proprio con riferimento al diverso dosaggio di questi che si possono configurare le speciali categorie di azioni a cui la norma fa riferimento. Appare quindi chiaro che il legislatore, limitatamente a questo campo, abbia inteso lasciare un’ampia discrezionalità all’autonomia statutaria.
Questa possibilità di differenziare i moduli partecipativi, chiaramente, porta all’accentuazione della diversità di posizione tra azionisti imprenditori ed azionisti risparmiatori.
Nel configurare queste speciali categorie di azioni, comunque, gli statuti possono incidere sia sui diritti patrimoniali, sia sui diritti corporativi, modificando sia gli uni sia gli altri anche contemporaneamente. Sebbene il vecchio art. 2351 ponesse un rapporto di reciproca compensazione tra questi e quelli, attualmente l’autonomia statutaria non incontra limiti, se non estremi:
- il divieto del patto leonino.
- il divieto di emettere azioni a voto plurimo (art. 2351 co. 4)
- il divieto di superare con tali azioni la metà del capitale sociale (art. 2351 co. 2).