La società acquista diritti ed assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nelle persone dei medesimi (art. 2266 co. 1). La rappresentanza, che consiste nel potere di emettere dichiarazioni di volontà con effetti vincolanti per altri, di norma viene inclusa nel potere di amministrare. L’art. 2266 co. 2, infatti, dice che la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore . Tale formula è da intendere nel senso che la rappresentanza spetta con quelle stesse modalità con cui spetta il potere di amministrare.

Se il potere di amministrare viene concesso a più soci congiuntamente oppure alla maggioranza, a questi viene anche affidato il potere di vincolare la società, tuttavia, in questi due casi, per semplicità, uno solo dei soci viene incaricato della firma sociale, ovvero di dichiarare ai terzi la volontà della società. In questo caso il fenomeno viene a sdoppiarsi, perché si distinguono:

  • il potere di formare la volontà nell’interesse del gruppo.
  • il potere di esternare questa volontà.

 Gli amministratori, a seconda dei patti, decidono congiuntamente od a maggioranza gli affari da compiere, ma chi li stipula con effetti vincolati per la società è solo la persona incaricata. Tale potere di manifestare la volontà sociale si chiama rappresentanza, termine che si ritiene venga utilizzato correttamente, in quanto il soggetto contempla nei suoi termini concreti un negozio di cui è stato disposto il compimento, dichiarando dunque una volontà propria, sia pure sulla base della volontà dell’organo amministrativo.

Secondo i principi, se il rappresentante stipula un contratto che non è stato deliberato dall’organo amministrativo, nel farlo non vincola la società. L’art. 2266 co. 2, al contrario, stabilisce che, in mancanza di una diversa disposizione, la rappresentanza si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale . Essa, quindi, risulta essere sganciata dal potere di amministrare. Questo avviene perché la legge presume che la volontà dichiarata del rappresentante corrisponda alla volontà sociale, quindi, per tutelare i terzi, vincola la società, facendo ricadere su di essa gli abusi commessi dal socio rappresentante. Tale meccanismo chiaramente può essere modificato dal contratto, limitando il potere di rappresentanza alle operazioni deliberate dagli amministratori.

Viene qui a porsi la domanda se i limiti imposti al potere del rappresentante possano essere opponibili nei confronti dei terzi. In linea di massima si pensa che i terzi possano fare affidamento sulla disciplina legale della rappresentanza, quindi, nel caso di modifiche al corrispondente regime, vale la regola consueta che, se tali modifiche non sono portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, sono inopponibili.

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