Dato che le regole sull’amministrazione sono quelle della società in nome collettivo, il potere di amministrare spetta disgiuntamente ad ogni socio, a patto che questo sia un accomandatario. Sull’opposizione che un accomandatario facesse all’operazione che un altro accomandatario volesse compiere decide la collettività dei soci accomandatari con le maggioranze determinate in base alla misura della partecipazione agli utili.

L’art. 2318 co. 2 dispone che l’amministrazione può essere conferita soltanto a soci accomandatari, norma che viene per lo più intesa non nel senso che sia interdetto conferire il potere di amministrare ad un accomandante (elemento implicito nel divieto di cui all’art. 2320), ma nel senso che sia interdetto conferirlo ad un estraneo. Gli estranei, infatti, possono essere nominati solo institori o procuratori, a patto che siano alle dipendenze e sotto la direzione degli amministratori.

La posizione di inferiorità in cui si trovano gli accomandatari si manifesta ogni qualvolta si debba procedere alla nomina di un amministratore, oppure alla revoca di un amministratore nominato con atto separato: mentre per tale nomina o revoca occorre l’unanimità degli accomandatari, per gli accomandanti basta il consenso della maggioranza del capitale da essi sottoscritto (art. 2319).

 Controllo degli accomandanti

Anche i poteri di controllo sull’amministrazione spettanti agli accomandanti sono limitati. L’art. 2320 co. 3 dispone che in ogni caso (diritto insopprimibile) essi hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite e di controllarne l’esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società . Gli accomandanti, quindi, non solo non hanno diritto di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali, ma neppure possono consultare i libri e i documenti nel corso della gestione.

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