Vanno sotto il nome di patti parasociali tutti quegli accordi che, presupponendo l’esistenza della società, tendono a disciplinare i comportamenti dei soci in ordine alla loro partecipazione ad essa. Tali patti, non essendo inseriti nell’atto costitutivo, non incidono sul regolamento della società, ma hanno una mera efficacia obbligatoria tra coloro che ne sono parti. La violazione di un patto parasociale, quindi, comporta la possibilità di far valere la diversa realtà societaria che dal suo rispetto sarebbe derivata, ma dà luogo soltanto ad un’azione di risarcimento dei danni.

Dato che la connotazione di parasociale è atta ad abbracciare i contenuti più eterogenei, tali patti possono intercorrere tra tutti i soci, possono intercorrere soltanto tra alcuni di essi oppure possono coinvolgere terzi estranei alla società. Classici esempi di patti parasociali sono:

  • i sindacati di blocco, che contengono l’impegno a non cedere le proprie azioni per un certo tempo, o a preferire nella cessione i partecipanti al sindacato (diritto di prelazione). Quando intercorre tra tutti i soci, comunque, tale sindacato viene inserito nello stesso atto costitutivo, divenendo una clausola statutaria (clausola di prelazione).
  • i sindacati di voto, che contengono l’impegno dei soci sindacati a votare compatti, secondo le decisioni dell’assemblea. Tali sindacati, tuttavia, essendo suscettibili di incidere sull’assetto societario, hanno da sempre suscitato varie perplessità.
  • i cosiddetti patti di consultazione, che non comportano un esplicito impegno a votare in un determinato senso, limitandosi a prevedere che i partecipanti si riuniscano prima dell’assemblea per consultarsi reciprocamente.
  • i cosiddetti patti di gestione, che contengono la previsione dell’esercizio di una diretta influenza sugli amministratori della società.

Si distinguono poi sindacati di maggioranza, intesi ad assumere e conservare il controllo e/ o la gestione della società, e sindacati di minoranza, preordinati ad agevolare l’esercizio dei diritti delle minoranze.

 Nel silenzio della legislazione, la diffidenza della giurisprudenza e di parte della dottrina ha trovato espressione in formule quali il permanente svuotamento di funzioni e di contenuto dell’assemblea>, oppure la prevaricazione di questa da parte dell’organo amministrativo. Tali obiezioni, comunque, avevano tutte come sottinteso che la libera espressione del voto, essendo un principio di ordine pubblico, fosse ineliminabile.

La recente giurisprudenza e la predominante dottrina, tuttavia, hanno ormai convenuto sulla possibilità che i soci si accordino prima dell’assemblea per votare unitariamente e che stipulino anche un patto diretto a procedere sistematicamente in tal senso. Il fatto poi che gli amministratori seguano i suggerimenti degli azionisti capaci di esercitare un’influenza sull’assemblea, non è cosa scandalosa e neppure fuorviante: fintanto che gli amministratori raccolgono dagli azionisti dei semplici suggerimenti, infatti, non è il caso di parlare di abuso da parte dei primi, così come non è il caso di parlare di svuotamento dell’organo assembleare quando i soci accolgono in assemblea i suggerimenti degli amministratori.

 La recente produzione legislativa aveva fatto frequente riferimento ai patti di sindacato, ma solo per tener conto delle possibili conseguenze della loro esistenza, senza un’esplicita valutazione circa la loro validità. Era quindi necessaria l’introduzione di una qualche regolamentazione, cosa a cui il legislatore ha provveduto (art. 2341 bis) attraverso un duplice riferimento:

  • in forza del loro scopo, i patti individuati dalla disciplina sono quelli aventi la finalità di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società. Restano quindi escluse le intese sul come votare in una singola assemblea.
  • in forza del loro contenuto, la norma individua tre categorie di patti:
    • quelli che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano (sindacati di voto).
    • quelli che pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano (sindacati di blocco).
    • quelli che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società (cosiddetti patti di gestione).

Il costante riferimento alle società controllanti comporta che tale disposizione sia applicabile anche ai patti stipulati tra i soci di una società a responsabilità limitata o di una società di persone, a patto però che queste si trovino a detenere il controllo di una s.p.a.

 L’art. 2341 bis non pone esigenze di forma ( in qualunque modo stipulati ), andando quindi ad investire anche i patti stipulati verbalmente, ma si limita a:

  • sancire una durata massima di cinque anni.
  • consentire che possano essere rinnovati alla scadenza.
  • sancire un diritto di recesso (preavviso di centottanta giorni) per i partecipanti al patto quando questo sia stipulato a tempo indeterminato.

L’ultimo comma dell’art. 2341 bis, escludendo l’applicazione della disciplina ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a società interamente possedute dai partecipanti all’accordo , fa essenzialmente riferimento ai contratti di joint venture stipulati in forma di società per azioni.

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