Il problema relativo alla possibile modifica dell’atto costitutivo e dello statuto consiste nel dirimere i contrasti tra i principi proprietari e la dinamica imprenditoriale. Disporre che il contratto possa essere modificato soltanto con il concorso della volontà di tutti i partecipanti (istanza proprietaria), tuttavia, equivarrebbe a sottoporre al diritto di veto del più piccolo dei soci l’adeguamento della struttura alle nuove opportunità ed esigenze del mondo imprenditoriale. La soluzione adottata, quindi, và nella direzione del principio maggioritario, con il temperamento, per i casi più gravi, del diritto di recesso. A questo proposito, si ritiene che il principio della modificabilità a maggioranza non possa essere escluso neppure attraverso una clausola statutaria, essendo per lo più considerata illegittima quella che prevedesse la necessità dell’unanimità dei consensi.

 Non esiste quindi un elemento dell’organizzazione statutaria che non sia modificabile e l’art. 2365, come regola, attribuisce la competenza per tali modificazioni all’assemblea in sede straordinaria (co. 1). Tale norma, tuttavia, consente una vistosa serie di eccezioni (co. 2), prevedendo che lo statuto possa attribuire all’organo amministrativo, al consiglio di sorveglianza o al consiglio di gestione la competenza a prendere le deliberazioni concernenti:

  • la fusione.
  • l’istruzione o la soppressione di sedi secondarie.
  • l’indicazione di quali tra gli amministratori hanno la rappresentanza della società.
  • la riduzione del capitale in caso di recesso del socio.
  • gli adeguamenti dello statuto a disposizioni normative.
  • il trasferimento della sede sociale nell’ambito del territorio nazionale.

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