Il nostro ordinamento attuale distingue tra le società per azioni che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (società aperte) e quelle che non fanno ricorso a tale mercato (società chiuse). Nell’ambito delle società aperte sono considerate oltre alle società quotate anche le società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante ma è indubbio che la disciplina delle società aperte trova applicazione soprattutto con riferimento alle società quotate.

Gli interessi rilevanti

La distinzione tra società aperte e chiuse si spiega in funzione del modo in cui la società si procura il capitale di rischio e in particolare in funzione del fatto che le azioni siano o meno quotate sul mercato. Infatti in tal caso la partecipazione azionaria oltre ad essere un mezzo per partecipare ad una iniziativa imprenditoriale può essere anche un mezzo per investire il proprio risparmio, ottenendo attraverso i dividendi una remunerazione adeguata e avendo in qualunque momento la possibilità di monetizzare l’investimento attraverso la vendita delle azioni sul mercato.

Ne deriva, oltre ad una polverizzazione del capitale sociale, la distinzione nell’ambito della società di due categorie di azionisti, i cosiddetti azionisti imprenditori che partecipano alla gestione dell’impresa e i cosiddetti azionisti risparmiatori che si preoccupano invece esclusivamente di investire proficuamente i loro risparmi non contribuendo alla gestione. Essendo rilevante la funzione del mercato nell’ambito delle società quotate è anche evidente che il funzionamento del mercato stesso assuma rilievo nella relativa disciplina di diritto societario.

Possiamo citare ad esempio il fatto che gli azionisti di società per azioni quotate che non hanno concorso alla deliberazione che comporta l’esclusione della quotazione abbiano diritto di recesso, che ci dimostra come la quotazione in borsa venga ad assumere una valore rilevante portando a riconoscere il diritto di recesso che invece il sistema ammette per le sole modificazioni organizzative essenziali, o ancora il fatto che per le società quotate il valore delle azioni da riconoscere al socio recedente viene calcolato con esclusivo riguardo alla loro quotazione senza tenere conto della consistenza patrimoniale della società

Si crea pertanto una situazione in cui da un lato le regole del mercato incidono direttamente sulla disciplina societaria e dall’altro la disciplina societaria si riflette sul funzionamento del mercato giungendo anche a condizionarne l’operatività.

I diritti degli azionisti

Tale stretta correlazione che si crea nelle società quotate tra funzionamento del mercato e disciplina societaria dipende dal fatto che l’interesse dell’investitore si concentra sul valore dell’investimento e tale valore si determina appunto anche attraverso la competizione sul mercato. Ne è derivato un dibattito tra chi ritiene che l’ordinamento non dovrebbe imporre autoritativamente regole di tutela degli azionisti ma dovrebbe ampliare lo spazio dato all’autonomia statutaria perché in tal modo il mercato potendo liberamente funzionare farebbe prevalere comunque le migliori soluzioni per gli investitori e chi invece ritiene che per un migliore funzionamento del mercato sarebbe necessario un intervento dell’ordinamento volto almeno a definire le garanzie minime per gli investitori.

A tale proposito la scelta del nostro legislatore è stata in un certo modo di compromesso, orientata più nel secondo senso ma con molte aperture verso la prima direzione. In primo luogo il legislatore ha adottato soluzioni legislative volte a rendere più agevole l’intervento degli investitori nella vita della società e quindi stabilendo per le società aperte un quantum di partecipazione inferiore per l’esercizio dei diritti di minoranza rispetto a quello richiesto per le società chiuse o stabilendo minori percentuali per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte dei soci.

Le azioni di risparmio

Tale rafforzamento dei mezzi di tutela degli azionisti ottenuto dal legislatore con il testo unico finanziario non esclude però un maggiore spazio lasciato anche all’autonomia statutaria in quanto ad esempio la legge consente agli statuti di attribuire i relativi diritti anche a percentuali inferiori a quelle individuate dalla legge. Non c’è però dubbio che l’autonomia statutaria può esplicarsi principalmente con riferimento ai diritti patrimoniali offerti agli azionisti che sicuramente determinano una maggiore appetibilità per il risparmiatore. In particolare ci riferiamo alla evoluzione legislativa in termini di azioni di risparmio.

La legge del 1974 ha infatti consentito alle società per azioni quotate l’emissione di azioni del tutto prive del diritto di voto prevedendo per esse specifici privilegi in tema di ripartizione di utili, di liquidazione delle quote e di sopportazione delle perdite. La legge dispone anche che deve essere l’atto costitutivo a determinare il contenuto del privilegio, le condizioni, i limiti e le modalità del suo esercizio. L’utilizzazione delle azioni di risparmio è riservata esclusivamente alle società quotate e anzi è necessaria la quotazione delle azioni ordinarie in quanto in tal modo si offre la possibilità al risparmiatore di acquistare sul mercato azioni che possano attribuirgli anche una posizione di potere nella società.

La legge tuttavia per garantire l’equilibrio organizzativo interno della società stabilisce una soglia quantitativa per il rapporto tra le azioni di risparmio e le altre azioni: le prime, sommate alle azioni a voto limitato non possono superare la metà del capitale sociale.

La durata dell’investimento azionario

Il testo unico finanziario con legge adottata nel 2010 ha introdotto la possibilità di distinguere, per quanto riguarda i dividendi, sulla base della durata dell’investimento azionario e quindi in base al fatto se esso viene attuato a fini speculativi o meno. Tale legge prevede che gli statuti possano attribuire alle azioni detenute dagli azionisti per un periodo indicato dallo statuto stesso (e comunque non inferiore ad un anno) il diritto ad una maggiorazione (non superiore al 10 per cento) del dividendo distribuito alle altre azioni.

Tale possibilità è relativa alle sole azioni che complessivamente non superano il cinque per mille del capitale sociale e non siano detenute da chi possa aver esercitato una influenza dominante. In questo modo la legge cerca di privilegiare i piccoli azionisti risparmiatori che hanno inteso effettuare un investimento di lungo periodo escludendo sia coloro che hanno finalità imprenditoriali che i piccoli risparmiatori che cercano un guadagno mediante una intermediazione sul mercato.

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