Presupposti della dichiarazione di fallimento

Presupposto della dichiarazione di fallimento è lo stato di insolvenza dell’imprenditore L’insolvenza si riferisce ad una situazione patrimoniale deficitaria in cui il passivo supera l’attivo. Occorre però ricordare che vi può essere una situazione patrimoniale deficitaria senza che vi sia insolvenza come ad esempio nel caso di crisi di liquidità ( l’imprenditore è a corto di denaro liquido ma nel suo attivo vi sono beni che rendono certa la possibilità di adempiere) mentre vi può essere insolvenza senza un deficit vero e proprio (es. quando vi sono investimenti immobilizzati che non consentono di far fronte con regolarità ai pagamenti).

Secondo la legge fallimentare l’insolvenza è uno stato di incapacità patrimoniale dell’imprenditore che non gli consente di far fronte con regolarità alle proprie obbligazioni. Fare fronte con regolarità significa con mezzi normali e quindi ci può essere insolvenza quando il pagamento avviene con beni invece che con denaro e con mezzi rovinosi e cioè tali da aggravare il dissesto (es. ricorrendo all’usuraio per pagare i debiti) Poiché i terzi non sono a conoscenza della contabilità aziendale e quindi non sanno quale è effettivamente la situazione dell’impresa è’ necessario che l’insolvenza si manifesti all’esterno attraverso inadempimenti o altri fatti quali la fuga, l’irreperibilità o la latitanza dell’imprenditore, la chiusura dei locali, il trafugamento o la diminuzione fraudolenta dell’attivo.

E’ anche importante ricordare che l’insolvenza è un fenomeno che riguarda il patrimonio dell’imprenditore e non l’impresa e quindi può nascere anche per fatti estranei alla attività di impresa (es. l’imprenditore ha una azienda sana ma si rovina per debiti di gioco). Una volta aperto il fallimento esso investe non solo l’impresa ma tutto il patrimonio del debitore e quindi anche i beni estranei all’impresa in quanto in base all’art. 2740 il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Potere di iniziativa a richiedere il fallimento 

Secondo l’attuale disciplina hanno l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento:

a) i creditori

b) l’imprenditore (che avrebbe anzi il dovere giuridico di richiederlo)

c) il pubblico ministero solo nell’ipotesi di insolvenza risultante da fuga, irreperibilità o latitanza dell’imprenditore, chiusura dei locali o sottrazione dell’attivo e quando l’insolvenza sia segnalata dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.

A differenza dalla disciplina originaria quindi nella attuale disciplina il fallimento non può essere dichiarato d’ufficio dal tribunale. La domanda di fallimento si propone tramite ricorso di uno dei soggetti legittimati visti sopra. Competente a dichiarare il fallimento è il tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa o la sede secondaria se la sede principale è all’estero. Se il fallimento viene dichiarato da un tribunale incompetente la incompetenza può essere fatta valere in sede di opposizione alla dichiarazione di fallimento ed essa, una volta accertata, comporta non la revoca della sentenza che dichiara il fallimento ma la rimessione degli atti al giudice competente davanti al quale la procedura prosegue.

Sulla istanza per la dichiarazione di fallimento il tribunale si pronuncia con decreto (reclamabile in appello) se ritiene che non vi siano i presupposti per la dichiarazione e con sentenza presa in camera di consiglio se accoglie l’istanza e dichiara il fallimento .La dichiarazione di fallimento presuppone quindi l’accertamento della qualità di imprenditore soggetto a fallimento e dello stato di insolvenza e quindi richiede una istruttoria che è sommaria in quanto deve chiudersi in termini molto brevi per evitare il rischio che il dissesto si aggravi ulteriormente. La legge fallimentare disciplina questa fase istruttoria per contemperare le esigenze di giustizia con i diritti di difesa dell’imprenditore che deve potersi difendere.

Questo processo ha però carattere inquisitorio e quindi le prove che possono essere acquisite vengono decise del giudice d’ufficio (non è quindi necessaria una richiesta della parte). Il giudice può anche prendere provvedimenti cautelari a tutela dell’impresa e del suo patrimonio che possono essere confermati nella sentenza che dichiara il fallimento o revocati dal decreto che rigetta la relativa istanza. Diversa è la procedura nel caso l’azienda raggiunga i limiti richiesti per l’amministrazione straordinaria. In questo caso si ha prima una sentenza adottata in camera di consiglio previa audizione del richiedente, del debitore e del ministro per le attività produttive con la quale si dichiara lo stato di insolvenza.

In seguito vengono verificate le possibilità di risanamento e quindi si procede con decreto motivato alla apertura della procedura della amministrazione straordinaria o alla dichiarazione di fallimento. Se l’m,presa ha dimensioni particolarmente significative può chiedere direttamente al ministro l’ammissione immediata alla amministrazione straordinaria presentando contestualmente ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza al tribunale che provvede anche in questo caso con sentenza.

Natura giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento

La sentenza che dichiara il fallimento è stata considerata da alcuni come provvedimento cautelare (in quanto pone determinate cautele a favore dei creditori) e da altri come provvedimento esecutivo (in quanto segna l’inizio della esecuzione collettiva sui beni) ma pur avendo entrambi questi elementi deve considerarsi come sentenza costitutiva in quanto determina l’inizio di una situazione giuridica nuova con conseguenze patrimoniali e personali molto più ampie di quelle determinate da un semplice provvedimento cautelare o esecutivo. Tuttavia essa segna l’inizio della esecuzione collettiva e quindi contiene i provvedimenti necessari a tale scopo, quali la costituzione degli organi del fallimento (nomina del giudice delegato e del curatore) e la predisposizione dei documenti necessari per la formazione della massa attiva e passiva (es. ordine al fallito di depositare i bilanci, le scritture contabili e l’elenco dei creditori). La sentenza dichiarativa viene notificata al debitore, al curatore e al creditore richiedente il giorno successivo al deposito in cancelleria e viene annotata nel registro delle imprese. I suoi effetti si producono generalmente a partire dal deposito ma nei confronti dei terzi decorrono dall’iscrizione nel registro delle imprese.

Reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento

Prima della riforma si poteva impugnare la sentenza che dichiarava il fallimento solo mediante opposizione allo stesso tribunale che la aveva emessa, mentre a seguito della riforma (che ha cercato di attuare una maggiore partecipazione al procedimento del debitore), contro la sentenza è ammesso il reclamo alla corte di appello. Tale reclamo deve essere presentato entro 30 giorni (per il debitore dalla data di notificazione della sentenza, per gli altri dalla sua iscrizione nel registro delle imprese). Con il reclamo si mira ovviamente ad ottenere la revoca della dichiarazione di fallimento dimostrando l’inesistenza delle condizioni di legge necessarie e quindi l’inesistenza dello stato di insolvenza, la non assoggettabilità dell’impresa alla procedura fallimentare, l’inesistenza del rapporto su cui la dichiarazione si fonda.

Per le imprese di grandi dimensioni inoltre può essere dimostrata la presenza dei requisiti che avrebbero giustificato l’adozione della procedura di amministrazione straordinaria. Ovviamente la situazione va esaminata con riferimento al momento in cui è stato dichiarato il fallimento in quanto eventuali fatti sopravvenuti possono determinare solo la chiusura del fallimento e non la revoca della dichiarazione. Il reclamo non sospende la sentenza di fallimento ma ricorrendo gravi motivi la corte di appello può sospendere in tutto o in parte la liquidazione dell’attivo.

Effetti della revoca della dichiarazione di fallimento 

Se il reclamo è accolto per mancanza dei requisiti previsti dalla legge fallimentare l’accoglimento determina la revoca del fallimento e quindi il venir meno degli effetti personali e patrimoniali che sono propri del fallimento. Restano salve e vincolanti però le obbligazioni legalmente assunte dagli organi del fallimento. La revoca del fallimento comporta l’obbligo per il creditore che ha proposto l’istanza al risarcimento dei danni solo se egli ha agito con dolo o colpa grave in quanto in caso contrario, essendo il fallimento un provvedimento del giudice e non del creditore si applicheranno i principi in tema di risarcimento di danni conseguenti a provvedimenti del giudice. L’onere delle spese del curatore gravano sul creditore che ha proposto istanza solo se ha agito per colpa o sul fallito persona fisica se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di fallimento. Se invece il reclamo si fonda sull’esistenza dei presupposti per l’ammissione alla amministrazione straordinaria al suo accoglimento consegue la conversione della procedura in amministrazione straordinaria alla quale provvede il tribunale con decreto.

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