Il fenomeno societario

La società rappresenta oggi una forma di esercizio organizzato di attività d’ impresa, che trae origine e si struttura per effetto di un atto di autonomia privata, contratto o atto unilaterale. In quanto esercizio di attività d’ impresa, la finalità è di ottenere risultati economici positivi da attribuire a chi vi ha investito.

 

Il contratto e l’ atto costitutivo di società

Art. 2247 c.c.: “con il contratto di società due o più persone conferiscono bene o servizi per l’ esercizio in comune di un’ attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Che la società sia un contratto è affermazione tradizionale nella dottrina privatistica italiana. In quanto contratto, la società rientra tra gli atti di autonomia privata, e dunque la sua costituzione è destinata a svincolarsi rispetto agli equilibri vigenti nell’ ‘800. Si è ribadito così che l’ atto che dà origine alla società deve essere definito contratto e che ciò che per l’ effetto si pone in essere fra chi vi partecipa deve essere considerato un rapporto obbligatorio.

Il fenomeno tenuto presente in origine dalla dottrina privatistica era quello della società civile, catalogato dal codice civile del 1865, agli artt. 1697 ss., come uno dei tanti contratti. Si trattava di un istituto di stampo ancora romanistico.

La dottrina commercialistica, dal canto suo, dava poca attenzione al momento costitutivo delle società commerciali; e ne sottolineava soprattutto le conseguenze organizzative. Le posizioni dottrinali dei paesi dell’ Europa continentale, francesi e tedesche, non erano molto dissimili. La successiva riflessione commercialistica ha portato via via ad alcune constatazioni sostanzialmente empiriche. Nei normali contratti, nella compravendita che ne è il prototipo ad es., i soggetti partecipanti all’ atto, i.e. le parti, sono sempre due, il venditore e il compratore; e quando una delle parti è costituita da più soggetti, le cose non cambiano nella composizione della fattispecie.

Nella società invece i soggetti o se si preferisce le parti fra le quali il contratto interviene non sono tipicamente due, ma più di due. Si è parlato così del contratto di società come di un contratto plurilaterale. Si è osservato ancora che nei normali contratti le volontà scambiate fra le parti hanno contenuto tipicamente diverso, seppure complementare, laddove nelle società il contenuto delle parti è omogeneo, ciascuno volendo mettere in comune qualche cosa per dividerne il risultato eventuale, in una direzione di volontà che si figura, se non parallela, convergente.

Inoltre, nei normali contratti gli interessi delle parti sono tipicamente contrapposti, in conflitto, mentre nelle società sembra esservi un dominante interesse comune alla realizzazione del guadagno. E si è parlato allora di contratti con comunione di scopo. Alle distinzioni fenomenologiche sopraindicate si sono poi aggiunte osservazioni sui connotati degli effetti del contratto di società. Questi non sono sempre riconducibili ad un normale rapporto giuridico obbligatorio fra le parti, come è proprio dei contratti tradizionali.

Vi è invece ravvisabile un effetto “reale”, da intendere nel senso della creazione di effetti direttamente rilevanti nei confronti dei terzi, vuoi sotto il profilo patrimoniale, vuoi sotto quello dell’ esercizio dell’ attività sociale: in un contesto di ricchezza di relazioni che è poi alla base delle teorie anglosassoni in tema di nexus of contracts.

Nella seconda metà del secolo scorso il problema dell’ atto costitutivo dei fenomeni associativi è stato ripreso e approfondito. Si è così concluso che ciò che veramente caratterizza quell’ atto è il dar luogo ad una particolare organizzazione dell’ esercizio dell’ attività d’ impresa: all’ organizzazione dell’ esercizio di tale attività in comune tra più soggetti; all’ organizzazione dell’ esercizio di tale attività in regime di limitazioni di responsabilità.

L’ organizzazione si è venuta, a sua volta, chiarendo nei suoi aspetti essenziali: patrimoniale, cioè di discipline del patrimonio destinato all’ esercizio dell’ attività d’ impresa; dell’ agire, cioè di disciplina del farsi dell’ azione che viene scomposto in fasi rigidamente distinte e ripartite. Fasi dell’ azione che poi culminano in una distinzione netta tra i momenti decisionale, gestionale e di controllo. Di tale organizzazione l’ atto costitutivo ha valore genetico, ma vi si conserva immanente, dettandone le regole di funzionamento ad integrazione delle norme inderogabili o dispositive di legge.

Inoltre, la consistenza della organizzazione ha consentito di separarla da una sua origine esclusivamente contrattuale, riportandola anche ad atto amministrativo o a norma di legge. La ormai acquisita legittimità della costituzione della società unipersonale, che nasce per atto unilaterale, ha concluso infine per la necessità di accentuare la riflessione sul profilo funzionale del fenomeno associativo, che poi governa, per le sue esigenze, lo stesso momento genetico.

Le osservazioni che precedono impongono una lettura consapevolmente critica dell’ art. 2247, anche per superare la discrasia fra la formula ivi contenuta (“con il contratto di società…”) con quella enunciata dall’ art. 2328 o 2463 (“la società può essere costituita per contratto o per atto unilaterale”). Due considerazioni facilitano la spiegazione della diversa strada scelta dal legislatore.

La società unipersonale, costituita per atto unilaterale, è oggi possibile solo nell’ applicazione delle discipline delle società di capitali, in un contesto dove l’ organizzazione è pervenuta a livello di complessità tale che la sua scansione per fasi e la responsabilità limitata all’ investimento nella società rendono indifferente che ci si riferisca a uno o a più soci.

Più rilevante, a mio avviso, è però la disciplina della trasformazione come innovata dalla legge di riforma del 2003.

Le società per azioni possono trasformarsi a maggioranza in società di persone, in consorzi, in società consortili, in società cooperative, in comunioni di azienda, in associazioni non riconosciute e in fondazioni. Le società di persone, i consorzi, le società consortili, le comunioni di azienda, le associazioni riconosciute e le fondazioni possono a loro volta trasformarsi, a maggioranza, in società di capitali, e così anche le società cooperative.

E’ così ammessa la cosiddetta trasformazione eterogenea. La legge di riforma non parla di trasformazioni che non abbiano come punto di partenza o di arrivo una società di capitali: in sede di corretta interpretazione della disciplina non vedo (pensiero di Libonati) però come tali operazioni possano essere escluse, risultando concettualmente e praticamente ridicolo che una comunione debba trasformarsi in società di capitali che poi si trasforma in consorzio, anzichè passare direttamente dalla prima all’ ultima forma.

Ne discende però allora che il dato che accomuna tutte le varie ipotesi considerate è di essere tutte esercizi organizzati di attività d’ impresa senza riconduzione immediata ad un referente individuale.

Sicché dovrà concludersi che il sistema conosce ormai due modelli di organizzazione di attività d’ impresa: il primo che si circoscrive all’ ipotesi in cui unico referente dell’ attività in parola sia la persona fisica che quell’ attività organizza, e si rientra allora nella vicenda dell’ impresa individuale; il secondo dove invece il referente è rappresentato da una struttura complessa, eventualmente per aggregazione ad altri e sotto varie forme negoziali, tutte peraltro accomunate dal connotato, appunto comune, di essere organizzazione d’ impresa pluri-extraindividuali.

Si avranno così figure diverse, per aggregazioni più o meno complesse, nascenti anche da successione. Il connotato comune legittima peraltro che l’ una figura si trasformi in altra in continuazione e non in interruzione dell’ attività d’ impresa. E in tale contesto certamente variegato, contraddistinto in immediatezza rispetto all’ esercizio individuale d’ impresa, e che può indicarsi come fenomeno associativo, per ricchezza d’ applicazione e per importanza economica emerge il fenomeno societario, individuabile però non tanto per singolarità fenomenologica ma per la disciplina evocata, nella quale il risultato economico dell’ impresa si imputa all’ organizzazione e poi in continuazione di sequenza organizzativa è ripartito.

Vero è che si assiste ancora una volta alla centralità dell’ attività d’ impresa nell’ ordinazione commercialistica e alla degradazione di ruolo del soggetto cui pure deve poi alla fine farsi riferimento. E’ dall’ esercizio dell’ attività d’ impresa obiettivamente considerata che deve farsi partire ogni ragionamento. E’ per il livello di organizzazione nell’ esercizio dell’ attività d’ impresa che il fenomeno associativo e nell’ ambito di questo il fenomeno societario si contraddistinguono.

 

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