Altro elemento comune alle società di capitali è il capitale sociale, ossia l’ammontare stabilito nell’atto costitutivo della società del valore complessivo dei conferimenti dei soci. Il capitale sociale è perciò una cifra indicativa che anche inizialmente si differenzia dalla nozione di patrimonio sociale, è espresso in termini monetari (prescindendo dalla natura dei beni oggetto del conferimento) e rimane sempre identico nonostante il variare o il trasformarsi dei beni inizialmente conferiti.  La nozione di capitale sociale è rilevante perché in base ad esso si misurano i poteri del singolo socio che sono tanto più intensi quanto maggiore è la partecipazione al capitale stesso.

Normalmente infatti la partecipazione al capitale sociale del socio è in misura proporzionale al valore del conferimento ma tuttavia con la riforma delle società di capitali è stato esteso anche a queste società una soluzione già presente nella disciplina delle società di persone in quanto è possibile, tramite una apposita clausola statutaria, riconoscere al singolo socio una partecipazione al capitale non proporzionale al valore del suo conferimento.  Questo ruolo importante del capitale come base per determinare i diritti dei soci spiega la necessità di distinguerlo dal patrimonio sociale che è invece il complesso delle attività e passività facenti capo alla società in un dato momento.

La distinzione tra capitale sociale e patrimonio sociale è ancora più accentuata dal fatto che sono oggi possibili gli apporti al patrimonio che ( a differenza dei conferimenti che formano il capitale)  attribuiscono una partecipazione al patrimonio e non al capitale e quindi non la posizione di socio. Il capitale sociale ha anche la funzione di fungere da indicatore del patrimonio sociale (che nelle società di capitali costituisce l’unica garanzia per i creditori) e infatti la legge richiede  che l’entità del capitale sociale per la parte effettivamente versata sia indicata negli atti e nella corrispondenza della società e richiede che sia inizialmente che durante la vita della società il valore del patrimonio sociale non scenda oltre certi limiti al di sotto della cifra indicata come capitale sociale.

  Per questo motivo la cifra in cui consiste il capitale sociale deve essere iscritta in bilancio nelle passività in modo tale da fungere da confronto per l’accertamento degli utili e delle perdite dell’esercizio impedendo la distribuzione degli utili se non per quella parte dell’attivo che superi la cifra indicata al passivo come capitale sociale. Inoltre la legge impone la riduzione o la reintegrazione del capitale sociale in caso di perdite che superino il terzo del capitale stesso  e impone la immobilizzazione di una parte degli utili per la costituzione di riserve legali in modo da garantire la permanenza del capitale di fronte alle oscillazioni patrimoniali che possono verificarsi nei vari esercizi.

Nulla impedisce invece che il valore del patrimonio sociale sia superiore alla cifra indicata come capitale sociale.  Se pure frutto di una determinazione convenzionale il capitale sociale può essere variato solo in base ad una variazione dello statuto o dell’atto costitutivo, sia nel senso dell’aumento che della diminuzione.  Tali variazioni possono corrispondere ad una variazione del patrimonio sociale o possono attuarsi restando identico il patrimonio sociale.

Così vi può essere un aumento del capitale mediante nuovi conferimenti o una riduzione mediante esonero dei soci dai conferimenti ancora dovuti  e quindi con variazione del patrimonio e vi può essere aumento mediante imputazione al capitale delle riserve legali o una riduzione del capitale per perdite e quindi senza variazione nel patrimonio.  La legge fissa un minimo di capitale sociale per i vari tipi di società che deve permanere  anche durante la vita della società. Pertanto  se per effetto di perdite superiori al terzo il capitale sociale scende sotto il limite legale o il capitale viene reintegrato, o la società deve trasformarsi o si scioglie.

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