La finalità della procedura concorsuale di assicurare la par condicio creditorum potrebbe essere messa in pericolo se la legge non prevedesse la possibilità di ricostituire il patrimonio del fallito assoggettando alla procedura concorsuale anche quei beni che ne fossero eventualmente usciti quando lo stato di insolvenza era già determinato. Infatti nella prassi generalmente c’è un certo lasso di tempo tra il manifestarsi della insolvenza e la dichiarazione di fallimento e in questo periodo il debitore potrebbe compiere atti di disposizione sui propri beni al fine di ovviare alla crisi o di mascherarla, alterando in tal modo la par condicio dei creditori.
Il problema non è tipico della materia fallimentare dal momento che il codice civile prevede l’azione revocatoria qualora il debitore sottragga beni al suo patrimonio creando pregiudizio ai suoi creditori. Tramite l’azione revocatoria ordinaria il creditore può ricostituire la garanzia del suo credito facendo dichiarare l’inefficacia dell’atto di vendita e quindi attuando l’esecuzione forzata sul bene fraudolentemente sottratto anche se lo stesso non si trova più nel patrimonio del debitore. In campo fallimentare però i problemi sono diversi in quanto la insolvenza del debitore è rilevante non nei confronti di un singolo creditore ma nei confronti della generalità dei creditori e inoltre la procedura fallimentare investe l’intero patrimonio del debitore e quindi il problema non è quello di ricostituire la garanzia del creditore ma quello di ricostruire il patrimonio.
In campo fallimentare inoltre l’esigenza non è solo quella di salvaguardare gli interessi dei creditori ma è anche quella di assicurare che ciò avvenga in coerenza con la finalità della par condicio creditorum. Per tale motivo alla revocatoria fallimentare sono assoggettati anche atti come il pagamento di debiti alla scadenza che sono invece sottratti alla revocatoria del codice civile in quanto essi pur non diminuendo la consistenza del patrimonio del debitore alterano la par condicio creditorum sottraendo valori al riparto cui tutti i creditori possono concorrere.
La legge fallimentare pertanto fissa un periodo di tempo, diverso a seconda dei soggetti che hanno compiuto l’atto o del contenuto del fatto, entro il quale gli effetti dell’atto (compiuto nel periodo tra il manifestarsi dell’insolvenza e la dichiarazione di fallimento) possono essere eliminati rispetto ai creditori del fallimento, in quanto l’atto stesso viene considerato fatto in frode ad essi con presunzione iuris ed de iure (ossia senza possibilità di prova contraria) o con presunzione iuris tanto (ossia a meno che non risulti la ignoranza da parte del terzo della insolvenza del debitore).
La materia è stata oggetto di profonde modificazioni che hanno sottoposto l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare al termine di decadenza di tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque di cinque danni dal compimento dell’atto. Inoltre sono stati esclusi dalla revocatoria fallimentare alcune categorie di atti quali i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei determini d’uso, le vendite e i preliminari di vendita di immobili destinati a costituire l’abitazione principale del debitore o dei suoi parenti ed affini entro il terzo grado purché conclusi a giusto prezzo, i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti o collaboratori del fallito o i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore se posti in essere in esecuzione di un piano volto a consentire il risanamento della situazione debitoria dell’impresa.
La revocabilità degli altri atti è diversamente disciplinata a seconda della categoria in cui il singolo atto rientra. La legge prevede le seguenti categorie di atti:
a) atti a titolo gratuito compiuti nei due anni antecedenti alla dichiarazione del fallimento e pagamento dei debiti con scadenza alla data della dichiarazione del fallimento o successiva. Per questi atti la legge stabilisce la inefficacia nei confronti del fallimento senza richiedere la conoscenza da parte del terzo dello stato di insolvenza del creditore.
b) atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che presentino caratteristiche tali da far ritenere l’esistenza di un accordo tra imprenditore e terzo ai danni dei creditori. Tali atti devono essere stati compiuti, a seconda dei casi, nel’anno o nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento. Si tratta di ipotesi dove lo squilibrio tra le prestazioni, l’anormalità dei mezzi di pagamento, la richiesta di particolari garanzie non ritenute necessarie al momento della concessione del credito, inducono a ritenere una partecipazione del terzo agli intenti fraudolenti dell’imprenditore e quindi una conoscenza da parte del terzo dello stato di insolvenza dell’imprenditore e per tale motivo gli effetti di tali atti possono essere eliminati nei confronti del fallimento a meno che il terzo non provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore.
c) atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che di per sé non presentano caratteristiche tali da far indurre un accordo ai danni dei creditori ma risultano oggettivamente pregiudizievoli. Si tratta di atti di disposizione normali compiuti dietro un adeguato corrispettivo e la loro efficacia può essere eliminata solo se sono stati compiuti nei sei mesi precedenti al fallimento e se il curatore prova che il terzo conosceva la insolvenza dell’imprenditore.
d) atti compiuti tra i coniugi. Gli atti compiuti tra i coniugi, dai quali deriva un pregiudizio per i creditori, possono essere revocati in qualunque momento siano stati compiuti se il coniuge non prova di aver ignorato lo stato di insolvenza del coniuge fallito.
La revocatoria ordinaria nel fallimento
Se gli atti compiuti dal fallito non rientrano in nessuna delle categorie sopra descritte, è possibile esercitare l’azione revocatoria ordinaria prevista nel codice civile purchè ne ricorrano le condizioni. Tali condizioni sussistono, solo per i creditori il cui credito è sorto prima che il debitore abbia compiuto l’atto di disposizione, qualora il curatore dimostri l’insolvenza del debitore al momento in cui l’atto fu compiuto e la conoscenza dell’insolvenza da parte del terzo per gli atti a titolo oneroso. Anche in questo caso l’azione spetta esclusivamente al curatore fallimentare e va proposta davanti al tribunale fallimentare e non mira a ricostituire la garanzia del singolo creditore ma a ricostituire il patrimonio del debitore per il soddisfacimento di tutti i suoi creditori.
Con l’azione revocatoria l’eliminazione degli effetti dell’atto pregiudizievole per i creditori viene stabilita solo nei confronti dei creditori del fallimento e pertanto tra le parti l’atto rimane valido ed efficace. Ne consegue che una volta che l’esecuzione concorsuale sia cessata e i creditori soddisfatti l’atto può nuovamente esplicare la sua efficacia tra le parti (cosiddetta inefficacia relativa) Inoltre nella revocatoria fallimentare (a differenza di ciò che avviene nella revocatoria ordinaria) alla eliminazione dell’efficacia dell’atto nei confronti del fallimento può corrispondere il diritto del terzo ad essere ammesso al passivo del fallimento per la somma per la quale risulti eventualmente creditore.