Espropriazione della partecipazione
L’art. 2471 disciplina l’espropriazione della partecipazione. Il pignoramento si esegue mediante notificazione al debitore e alla società (ricalca le tracce dell’espropriazione presso terzi) e mediante la successiva iscrizione nel registro delle imprese. Gli amministratori debbono senza indugio farne annotazione nel libro dei soci (co. 1). L’ordinanza del giudice che dispone la vendita della partecipazione deve essere notificata alla società a cura del creditore (co. 2), cosa questa che consente agli altri soci di intervenire all’incanto e di farsi aggiudicare la quota, impedendo che vada a finire in mano ad estranei.
Situazione delicate si presentano quando l’atto costitutivo limiti la trasferibilità della quota. La norma dispone che se il creditore, il debitore e la società non si accordano sulla vendita, questa avvenga all’incanto, tuttavia la vendita è priva di effetto se entro dieci giorni dall’aggiudicazione la società presenta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo (co. 3).
Recesso del socio
L’art. 2473, sebbene demandi all’atto costitutivo di determinare autonomamente quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità , indica una serie di ipotesi in cui in ogni caso questo diritto può essere esercitato. In particolare, hanno diritto di recedere i soci che non hanno consentito (co. 1):
- al cambiamento dell’oggetto sociale o del tipo di società.
- alla fusione o alla scissione.
- alla revoca dello stato di liquidazione.
- al trasferimento della sede all’estero.
- all’eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo.
- al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato dall’atto costitutivo.
- al compimento di operazioni che comportano una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci ai sensi dell’art. 2468 co. 4 ).
Ulteriori motivi di recesso sono:
- il fatto che la società sia contratta a tempo indeterminato, per cui il recesso può essere esercitato in ogni momento, con un preavviso di almeno centottanta giorni. L’atto costitutivo può stabilire un termine più lungo, purché non superiore ad un anno (co. 2).
- la modifica dell’atto costitutivo che comporti l’introduzione o la soppressione di clausole compromissorie, caso in cui i soci assenti o dissenzienti possono esercitare il diritto di recesso entro i successivi novanta giorni (art. 34 co. 6 del d.lgs. n. 5 del 2003).
- la previsione che l’aumento di capitale possa esser sottoscritto da terzi (art. 2481 bis co. 1).
- l’esistenza nell’atto costitutivo di una clausola che ponga un divieto assoluto di trasferimento della quota (art. 2469 co. 2) o variamente lo condizioni.
- il ricorrere dei casi indicati nell’art. 2497 quater quando la società sia soggetta ad attività di direzione e coordinamento (co. 1).
L’atto costitutivo, oltre a poter prevedere altre ipotesi di recesso, deve indicare le modalità del suo esercizio, tra cui il termine, che la norma non ha ritenuto opportuno di stabilire.
Il socio recedente ha diritto al rimborso della propria partecipazione in proporzione al patrimonio sociale , stimato al valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso. In caso di disaccordo, la determinazione è rimessa ad una relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, il quale provvede anche sulle spese (art. 2473 co. 3).
Il rimborso deve essere eseguito entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso alla società (co. 4). La norma, volendo evitare che a tale rimborso consegua la riduzione del capitale in proporzione alla quota di partecipazione del recedente, prevede in progressione:
- che la quota sia acquistata dagli altri soci proporzionalmente alla loro partecipazione.
- che la quota sia acquistata da un terzo, concordemente individuato dai soci medesimi.
- che per il rimborso si utilizzino le riserve disponibili.
Dato che questo non comporta una riduzione del capitale e dal momento che vige il divieto di acquisto delle proprie azioni, sembra inevitabile che la quota del recedente si accresca proporzionalmente a quella dei soci superstiti (si realizza indirettamente lo stesso risultato di cui al primo punto)
- che si proceda all’invitabile riduzione del capitale.
- che, se neppure questo si riveli possibile, si ponga in liquidazione la società.
Il recesso non può essere esercitato e, qualora sia stato esercitato, è privo di efficacia, se la società revoca la delibera che lo legittima oppure se è deliberato lo scioglimento della società (co. 5).
Esclusione socio
Come detto, il socio moroso nei versamenti può essere anche escluso. A norma dell’art. 2473 bis, l’atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio.
La norma, tuttavia, non consente una generica previsione di escludere un socio per giusta causa, ma vuole una specifica indicazione di cause di esclusione caratterizzate dall’appartenenza al novero di quelle ispirate al concetto di giusta causa (es. interdizione, fallimento, concorrenza). In questo caso si applicano le disposizioni del precedente articolo (formula vaga), ossia quelle relative al recesso. Tale esclusione, tuttavia, non è consentita quando per il rimborso della partecipazione si dovesse ricorrere ad una riduzione del capitale.