L’azienda  è costituita da una pluralità di beni eterogenei, mobili o immobili, materiali o immateriali e non è necessario che tali beni siano di proprietà dell’imprenditore ma è sufficiente che egli ne abbia il solo godimento.  Soltanto con riferimento alla destinazione economica  è possibile fare una distinzione, nell’ambito di una azienda, tra beni principali e beni accessori e quindi beni che hanno in una azienda una funzione prevalente possono avere in un’altra azienda una funzione accessoria.

Il valore dei singoli beni quindi è calcolato in base al rilievo che essi assumono per l’attuazione dello scopo produttivo dell’impresa e quindi è possibile che beni immobili siano in posizione di accessorietà rispetto a beni mobili o a beni immateriali.  Una distinzione che viene fatta tra i beni di una azienda è quella tra capitale fisso e capitale circolante.   Il capitale fisso è formato da quei beni che hanno funzione strumentale nel processo produttivo e quindi hanno una destinazione duratura nel complesso aziendale (impianti, arredamenti, macchinari) mentre il capitale circolante  è costituito da quei beni che sono destinati ad essere consumati nel processo produttivo (materie prime, merci, ecc).

 

Gli atti di disposizione dell’azienda

L’azienda può formare oggetto di disposizione così come possono formare oggetto di disposizione i singoli beni di cui essa si compone.  Si ha disposizione dell’azienda ogni volta che per la continuazione dell’attività imprenditrice un altro soggetto dispone del complesso dei beni aziendali.  In questo caso non si ha successione nell’impresa in quanto si configura la cessazione dell’attività imprenditrice da parte di un soggetto e inizio di tale attività di un altro soggetto per effetto rispettivamente della dismissione e dell’acquisto del complesso aziendale. Gli atti di disposizione dell’azienda sono soggetti sotto certi aspetti ad una disciplina giuridica propria in quanto possono ad esempio assumere rilievo a livello di concentrazione (se comportano l’acquisto di una posizione dominante sul mercato interno o su quello comunitario) o al livello delle  relazioni industriali (e quindi richiedere una preventiva comunicazione ai sindacati ed un obbligo di esame congiunto con essi).

Ciò naturalmente non esclude l’applicazione che riguardano i singoli beni di cui l’azienda si compone ma tali norme si applicano solo se non incompatibili con la disciplina propria dell’azienda. Principi particolari sono posti circa la prova e la pubblicità e circa gli effetti sostanziali dell’atto. Gli atti di trasferimento della proprietà o del godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto e iscritti nel registro delle imprese e tale requisito è richiesto ad probationem  e non ab sustantiam e il valore della pubblicità resta quello tipico del registro delle imprese e cioè di pubblicità dichiarativa.

Gli atti di trasferimento dell’azienda producono i seguenti effetti naturali :

a) l’obbligo del cedente di astenersi da una attività imprenditrice idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta

b) la successione da parte dell’acquirente nei contratti in corso di esecuzione facenti capo all’azienda.  Naturalmente si tratta di effetti naturali che pertanto possono essere eliminati attraverso una apposita pattuizione tra le parti.

 

L’obbligo di non concorrenza

Il divieto di concorrenza è posto a carico del venditore nei confronti dell’acquirente o del titolare dell’azienda nei confronti dell’usufruttuario o affittuario.  Tale obbligo non è illimitato e pertanto in caso di alienazione è di cinque anni mentre in caso di usufrutto o affitto ha come limite la durata del contratto di usufrutto o di affitto e dal punto di vista spaziale si estende all’ambito territoriale nel quale sarebbe possibile una effettiva concorrenza.  Trattandosi di un effetto naturale (che quindi ha fondamento nella legge e non nella volontà delle parti) il divieto di concorrenza sussiste sia nella vendita volontaria che in quella forzata o fallimentare e comporta che non possa esercitarsi una impresa idonea a determinare sviamento della clientela dell’azienda ceduta. La violazione del divieto comporta le conseguenze tipiche dell’inadempimento contrattuale: risarcimento del danno ed eventuale risoluzione del contratto.

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