Più semplice è l’ipotesi dell’aumento nominale del capitale (art. 2442 co. 1), caso in cui, come detto, non vi è emissione di nuova ricchezza. Al contrario, si tratta di utilizzare a questo scopo tutta o parte della ricchezza prodotta in precedenti esercizi e non distribuita sotto forma di dividendo (es. riserve, fondi disponibili). Si ha quindi una semplice operazione contabile che consiste nel prelevare una data ricchezza da queste riserve o fondi trasferendola sotto la voce capitale. Trattandosi comunque di una modifica statutaria, competente a deliberare è solo l’assemblea straordinaria.
Corrispondentemente all’aumento di capitale si deve procedere all’emissione delle nuove azioni, le quali, non dovendo comportare una modificazione delle posizioni dei soci, devono avere le stesse caratteristiche di quelle in circolazione, e devono essere assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione a quelle già possedute (co. 2).
Sebbene la distribuzione di nuove azioni non sia distribuzione di nuova ricchezza (aumento gratuito), essa corrisponde comunque all’assoggettamento al vincolo del capitale di una ricchezza precedentemente accumulata che avrebbe potuto essere distribuita ai soci sotto forma di dividendo. Tutte le azioni, quindi, venendo aumentate di numero ma continuando a riflettere nel totale la stessa ricchezza patrimoniale, sono destinate a veder ridotto il loro valore effettivo unitario. A livello patrimoniale, tuttavia, il risultato non comporta ripercussioni negative.
Occorre sottolineare che tale operazione risulta particolarmente semplice se le azioni sono prive dell’indicazione del valore nominale: la deliberazione di aumento, infatti, comporta semplicemente che il maggior valore del capitale si distribuisca sulle azioni esistenti, la cui parità contabile si adeguerà automaticamente.