Le associazioni, le fondazioni e, in generale, tutti gli enti privati con fini ideali o altruistici possono svolgere attività commerciale qualificabile come attività di impresa. Affinché si abbia impresa, l’attività produttiva deve essere condotta con metodo economico  e tale metodo può ricorrere anche quando lo scopo perseguito sia ideale.

L’esercizio di attività commerciale da parte di tali enti, pur essendo sempre strumentale rispetto allo scopo istituzionale perseguito, può costituirne anche l’oggetto esclusivo e principale. In tal caso l’ente acquista la qualità di imprenditore commerciale e resta esposto a tutte le relative conseguenze, compresa l’esposizione al fallimento in caso di insolvenza, fatta eccezione per le associazioni qualificabili come imprese sociali.

Ma è più frequente che l’attività commerciale presenti carattere accessorio rispetto all’ attività ideale costituente l’oggetto principale dell’ente. Ma il carattere accessorio dell’attività commerciale non impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore, non potendosi eccepire che manchi il requisito della professionalità: la professionalità non implica che l’attività di impresa sia esclusiva  o principale. Per tali enti non è dettata alcuna norma specifica per quanto concerne l’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale, perciò essi acquistano la qualità di imprenditori commerciali con pienezza di effetti anche se l’attività commerciale ha carattere accessorio o secondario. Quindi saranno esposti anche al fallimento.

Una parte minoritaria della dottrina e la giurisprudenza ritengono che la disciplina delle imprese commerciali non sia applicabile agli enti di diritto privato diversi dalle società, quando l’attività di impresa abbia carattere accessorio. Ritengono che si debba applicare lo stesso regime  dettato per gli enti pubblici titolari di imprese – organo.

Si ritiene che l’art. 2201[1] sia un principio generale valido per tutte le imprese collettive non societarie. Quindi, le associazioni e le fondazioni, che esercitano attività commerciale in via accessoria sarebbero esonerate dall’intero statuto dell’ imprenditore commerciale. Cioè sarebbero imprenditori, ma non imprenditori commerciali.  Ma questa tesi non può essere condivisa per due motivi:

  1. l’art. 2201 è una norma eccezionale che trova fondamento nella struttura pubblicistica dell’ente, il che è sufficiente per respingere l’applicazione ad enti di diritto privato quali l’associazione o la fondazione;
  2. l’art. 2201 si limita a prevedere l’esonero dalla registrazione e non può essere inteso come esonero degli enti pubblici titolari di imprese – organo dall’intero statuto degli imprenditori commerciali. Tanto è vero che per le procedure concorsuali è dettata una espressa norma, l’art. 2221[2].

In conclusione: le associazioni e le fondazioni esercenti attività commerciale in forma di impresa diventano sempre e comunque imprenditori commerciali e restano esposte al fallimento, senza possibilità di operare distinzioni in base al carattere principale o accessorio dell’attività di impresa.

Problema è invece se il fallimento di un’associazione non riconosciuta comporti anche il fallimento degli associati illimitatamente responsabili.

Ma dalla formulazione dell’art. 147, 1° comma, legge fallimentare[3], dall’art. 9 del d.lgs. 240/1991, è desumibile che il fallimento di un’impresa collettiva senza scopo di lucro non comporta il fallimento di chi risponde illimitatamente per le relative obbligazioni.

Impresa sociale = “Possono acquisire la qualifica di imprenditore sociale tutte le organizzazioni private che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale”.

Tali sono i beni o servizi che ricadono nei settori tassativamente indicati dal d. lgs. 155/2006 (art. 1– I° comma) : assistenza sociale e sanitaria, tutela dell’ambiente, servizi culturali, ect.).  Fino a qui abbiamo analizzato l’oggetto. Ulteriore elemento dell’impresa sociale è l’assenza dello scopo di lucro. Utili e avanzi di gestione devono essere infatti destinati allo svolgimento dell’attività o all’incremento del patrimonio dell’ente. Inoltre sul patrimonio dell’impresa grava un vincolo di indisponibilità in quanto né durante l’esercizio dell’impresa, né allo scioglimento è possibile distribuire fondi o riserve a vantaggio di coloro che fanno parte dell’organizzazione.

In caso di cessazione dell’impresa, il patrimonio residuo è devoluto ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale. Il legislatore agevola le imprese sociali sul piano civilistico dando loro la possibilità di potersi organizzare in qualsiasi forma di organizzazione privata, in particolare può essere impiegato qualsiasi tipo societario. Non possono essere imprese sociali invece: le amministrazioni pubbliche e le organizzazioni che erogano beni e servizi esclusivamente a favore dei propri soci, associati, ect. Altro privilegio per l’impresa sociale è la possibilità di limitare a certe condizioni la responsabilità patrimoniale dei partecipanti.

Le imprese sociali sono soggette

a) all’iscrizione in un’apposita sezione del registro delle imprese;

b) devono redigere le scritture contabili;

c) in caso di insolvenza sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa, invece che al fallimento.

Devono costituirsi per atto pubblico, indicare nell’atto costitutivo l’oggetto sociale, enunciare l’assenza dello scopo di lucro, indicare la denominazione dell’ente che va integrata con la locuzione “impresa sociale”, ect. L’atto costitutivo inoltre deve prevedere un sistema di controllo interno che si divide  fra il controllo contabile, affidato ad uno o più revisori contabili e controllo di legalità della gestione e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, riservato ad uno o più sindaci. Infine le imprese sociali sono soggette alla vigilanza del Ministero del lavoro (controllo esterno), che può procedere anche ad ispezioni.

 


[1] Art. 2201 Enti pubblici  Gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale (2093) sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese (att. 100).

[2] Art. 2221 Fallimento e concordato preventivo

Gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso d’insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali.

[3] Art. 147 (Società con soci a responsabilità illimitata).

 La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili.

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