Come per il socio, anche per l’amministratore si ripropone il problema del conflitto di interessi in cui l’amministratore possa venire a trovarsi. A tale proposito, comunque, occorre distinguere a seconda che l’atto compiuto sia di competenza di un singolo amministratore oppure richieda una deliberazione del consiglio.
La disciplina precedente, facendo riferimento soltanto alla seconda di queste ipotesi, imponeva all’amministratore l’obbligo di astenersi dal partecipare alla deliberazione presa con il voto determinante dell’amministratore in conflitto. Il nuovo art. 2391, invece, detta una disciplina in parte diversa da quella precedente. L’elemento di maggior novità è rappresentato dal fatto che la nuova norma, non parlando più di interessi in conflitto, ma genericamente di ogni interesse che l’amministratore abbia in una determinata operazione della società , sembra imporre all’amministratore non tanto un dovere di astensione, quanto piuttosto un dovere di dare notizia dell’interesse in questione agli altri amministratori, in modo tale che il consiglio ne possa tener conto in sede di deliberazione. In caso di inosservanza a quanto disposto (es. deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con voto determinante dell’amministratore interessato), le deliberazioni medesime, qualora possano recare un qualche danno, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni.
Risulta quindi chiaro che la presenza di qualunque interesse di un amministratore può portare all’impugnativa della deliberazione presa dal consiglio o dal comitato esecutivo, a condizione che:
- ricorra la dannosità anche solo potenziale della deliberazione.
- con la potenziale dannosità concorrano (alternativamente):
- l’inosservanza delle prescrizioni relative al dovere di comunicazione dell’esistenza di un interesse da parte dell’amministratore in potenziale conflitto.
- l’inosservanza del dovere di motivare adeguatamente la decisione da parte del consiglio.
- il fatto che il voto dell’amministratore in conflitto sia stato determinante nella deliberazione (cosiddetta prova di resistenza).
Ancor più di prima, comunque, la nuova disciplina richiede di tenere ben distinta l’impugnabilità della deliberazione, funzionale essenzialmente ad impedirne l’esecuzione, dall’impugnabilità dell’atto posto in essere in esecuzione della deliberazione viziata. Sotto quest’ultimo aspetto, infatti, la norma riprende la regola per cui sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi, cosa questa che lascia ritenere che nei confronti di questi ultimi non possano esser fatti valere motivi di mero carattere procedimentale, ma solo ragioni di effettivo e sostanziale conflitto di interessi. La legittimazione all’impugnativa spetta agli amministratori ed al collegio sindacale, ma quando siano stati adempiuti gli obblighi di informazione indicati e, quindi, il voto sia stato espresso con la consapevolezza dell’esistenza dell’interesse potenzialmente conflittuale, questa non può essere proposta da chi abbia consentito con il proprio voto alla deliberazione.
Ci si chiede se tale disciplina si applichi anche in situazioni di controllo, in cui gli amministratori sono di nomina della controllante e come tali portatori di un qualche interesse diverso. Una soluzione parziale a tale interrogativo viene data dall’art. 2391 bis, che disciplina le operazioni con parti correlate, e nell’art. 2497, che disciplina la responsabilità da direzione e coordinamento e presuppone la violazione dei principi di corretta gestione. Certamente non avrebbe senso pretendere di applicare il dovere di dare notizia di un interesse che è implicito nella situazione, tuttavia non sembra eludibile il dovere di motivare adeguatamente le operazioni anche con riferimento al rapporto di controllo esistente ed ai riflessi che ne possono derivare.
Qualora la situazione di conflitto di interessi, al contrario, si verifichi:
- nell’amministratore delegato (art. 2391 co. 1), egli deve astenersi dal compiere operazione (non necessariamente dal votare).
- nell’amministratore unico (art. 2391 integrato dal d.lgs. n. 310 del 2004), egli deve darne notizia (oltre che al collegio sindacale) anche alla prima assemblea utile.
Se in questi casi tali disposizioni non sono rispettate e l’amministratore unico o delegato da corso all’affare, torna ad essere applicabile l’art. 1394 (disciplina precedente), secondo il quale l’atto è impugnabile su domanda del rappresentato se il conflitto era riconosciuto o riconoscibile dal terzo. L’amministratore è responsabile per i danni derivati alla società dalla sua azione o omissione (co. 4), potendo quest’ultima consistere anche nel solo fatto di aver taciuto la propria condizione di interessato. L’amministratore, infine, risponde anche dei danni eventualmente derivanti dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico (co. 5).
Operazioni con parti correlate
Un frangente deputato al verificarsi di possibili conflitti d’interessi è quello rappresentato dalle operazioni poste in essere con parti correlate. Data la difficoltà di inquadrare il tema in una precisa definizione formale, l’art. 2391 bis, rinunciando ad esprimere un concreto contenuto normativo, ne demanda il compito alla Consob e all’autoregolamentazione degli organi amministrativi della società.
Due sono gli elementi che meritano di essere sottolineati:
- la norma è rivolta alle sole società aperte.
- i termini di riferimento adottati appaiono volutamente di natura generica, tali da prestarsi ad esprimere concetti duttili e suscettibili di larga interpretazione.
La nozione di parti correlate , in particolare, prescindendo dal rapporto di controllo, abbraccia ogni situazione in cui, tra soggetti diversi, possa verificarsi una qualche interferenza suscettibile di determinare deviazioni rispetto ai comportamenti naturali della società (es. soggetti partecipanti a sindacati di voto in grado di esercitare un controllo, persone dotate di poteri e responsabilità nell’esercizio di funzioni amministrative).
Risulta piuttosto singolare che la norma taccia quello che vuol essere il suo duplice obiettivo, ossia disciplinare e rendere palesi le operazioni che possono avere effetti sulla salvaguardia del patrimonio aziendale o sulla completezza e correttezza delle informazioni (art. 71 bis regolamento della Consob 11971).