La morte scioglie il legame tra il diritto e il suo titolare e il fenomeno della successione mortis causa lo ricompone in capo ad altri.

Nella successione a titolo universale l’eredità si acquista con l’accettazione. Nella successione a titolo particolare il legato si acquista ipso iure al momento della morte. Diversa è l’ipotesi del legato di cosa altrui, dove l’onerato è obbligato ad acquistare la proprietà della cosa ed a trasferirlo al legatario.

11 legatario può rinunciare all’attribuzione, ma la mancanza di tempo tra apertura della successione ed effetto traslativo (o costitutivo) porta a ritenere che la rinunzia abbia carattere estintivo nel senso che produce la perdita di una situazione giuridica già acquisita. L’art. 649 1co. c.c. niente dice in merito alla forma che la rinunzia deve rivestire; è però da ritenere che quando essa abbia per oggetto diritti immobiliari debba essere resa in forma scritta.

La successione universale mortis causa riguarda solo in seconda linea la sorte dei rapporti o delle attribuzioni, in quanto concerne il profilo della sostituzione del titolare nell’intero ordinamento personale. L’attribuzione patrimoniale non è effetto delle delazione, in quanto a questa segue solo il diritto per il chiamato di accettare l’eredità. Si è discusso se l’acquisto dei beni e il subentro nei rapporti giuridici fosse mediato dell’accettazione oppure effetto immediato e il testo dell’art 459 c.c. pende verso la seconda soluzione.

A norma dell’art. 474 c.c. l’accettazione può essere espressa o tacita: la prima è una dichiarazione, resa in forma di atto pubblico o scrittura privata, con la quale il chiamato dichiara di accettare o assume il titolo di erede; la seconda si manifesta mediante comportamenti del chiamato che presuppongono la volontà di accettare. L’accettazione espressa ha natura di dichiarazione negoziale di carattere non recettizio in quanto esaurisce il suo effetto nella sfera giuridica dell’accettante. Più complesso è il discorso circa la qualificazione giuridica dell’accettazione tacita. Santoro Passarelli la riporta nell’ambito del negozio di attuazione. Da tale impostazione, la consumazione e il godimento dei beni ereditari attuerebbe l’intento relativo al negozio di accettazione o sarebbe inclusiva della dichiarazione di accettare. Sta di fatto che l’accettazione prescinde da qualsiasi comportamento attuativo o esecutivo e il suo effetto giuridico si esaurisce con una modificazione ideale della realtà; gli effetti ulteriori – consumazione e godimento dei beni

ereditari  –  derivano  dalla  situazione  giuridica  che  si  crea  dopo  l’accettazione.  Quindi nell’accettazione tacita deve ritenersi che l’intento negoziale si sia già prodotto al di fuori di attuazioni di fatto; quest’ultima casomai conserva la funzione di fato manifestativi dell’intento di accettare.

L’art. 2648 co. 1 c.c. dice che bisogna procedere alla trascrizione dell’accettazione dell’eredità che importi l’acquisizione di diritti immobiliari. Il co. 2 prevede che la trascrizione consista in una dichiarazione del chiamato contenuta in un atto pubblico o in una scrittura privata con firma autenticata o accertata giudizialmente.

Con la trascrizione dell’accettazione va presentata la nota degli acquisti mortis causa con

l’indicazione della natura e della situazione dei beni, nonché dei dati catastali (art. 2660 co 2 n.5 c.c.). L’annotazione non ha per oggetto la qualità o il titolo di erede – che risulta nella trascrizione – bensì i singoli e determinati beni. Le due norme vanno coordinate tra di loro, nel senso che la trascrizione dell’accettazione comporti anche la segnalazione dei beni immobiliari che rientrano nel patrimonio del de cuius e che sono oggetto di annotazione.

La trascrizione dell’accettazione assicura gli effetti della continuità prevista dall’art. 2560 c.c. ma nulla aggiunge alla posizione dell’erede in conflitto con altri successori e svolge una importante funzione di tutela del terzo acquirente dall’erede. Si osserva che la trascrizione dell’erede vero contro il de cuius ha funzione conservativa dell’acquisto mortis causa nei confronti di tutti i possibili aventi causa da tutti i possibili eredi apparenti; di contro, la trascrizione dell’erede apparente contro il de cuius non ha alcuna importanza nei confronti dell’erede vero perché il titolo dell’erede apparente non è idoneo a giustificare l’acquisto mortis causa.

Se l’eredità è acquistata da più coeredi si ha tra questi una comunione salvo che, nella successione, il de cuius non abbia diviso i suoi beni. La comunione ereditaria è, pertanto, situazione di contitolarità pro quota del diritto di proprietà. Non sussiste comunione ereditaria ma semplice con titolarità quando uno stesso bene è legato a più successori a titolo particolare.

Occorre ricordare che la dottrina ha configurato una categoria di atti inter vivos con effetti post mortem. In questi atti, la morte non è la causa dell’attribuzione, ma rappresenta la condizione o il termine di efficacia dell’attribuzione.

Lascia un commento