In un sistema di tipicità degli illeciti il danno della fattispecie di responsabilità è qualificato dalla lesione di una situazione soggettiva: il § 826 richiamato prova che ove manchi tale lesione, e la diminuzione patrimoniale sia per così dire nuda, occorre una norma ad hoc perché si possa dare il risarcimento.

Questo significa, reciprocamente, che in un sistema a clausola generale il danno, per essere giuridicamente rilevante, non necessita della lesione di una situazione soggettiva.

Il sintagma “danno ingiusto”, di cui al 2043 (Risarcimento per fatto illecito), ove sia riferito alle offese di per sé suscettibili di valutazione economica e gli si voglia assegnare lo statuto di clausola generale, consente il giudizio di responsabilità sul semplice presupposto di una mera diminuzione patrimoniale.

Il suo significato viene così a coincidere con quello del danno adottato dalla c.d. Differenztheorie.

Ma il risultare risarcibile di ogni perdita economica significa la neutralizzazione della qualifica di ingiustizia che invece il legislatore del 1942 ha aggiunto al requisito del danno nella fattispecie del 2043.

Su un piano più generale, la scelta tra tipicità ed atipicità diventa linea di discrimine tra due diverse qualificazioni del danno: da un lato il danno qualificato dalla lesione della sfera giuridica e perciò conseguenza della lesione di una situazione giuridica soggettiva, dall’altro il danno puro e semplice, come mera diminuzione patrimoniale.

La concezione normativa o giuridica del danno considera il danno qualificato dalla lesione della sfera giuridica; la teoria realistica teorizza il danno puro e semplice come mera diminuzione patrimoniale.

{La teoria naturalistica invece identifica il danno con un evento fisicamente percepibile come la morte di una persona o la distruzione di una cosa.

Una definizione di tipo realistico è contenuta nelle fonti romane e dovuta a Paolo (D. 39, 2, 3): le parole damnum e damnatio derivano da ademptione, ovvero diminuzione del patrimonio}.

La teoria del danno potrà essere normativa o realistica a seconda che il sistema della responsabilità civile sia costruito rispettivamente per illeciti tipici o fondato su una clausola generale.

Nella dottrina italiana, nella critica portata contro la concezione realistica del danno in adesione alla concezione normativa, si sono fatte valere in primo luogo una ragione storica ed una letterale, convergenti nell’affermazione che nel nostro ordinamento l’adozione del sintagma “danno ingiusto” nella fattispecie del 2043 (Risarcimento per fatto illecito) non consente di parlare di un danno a prescindere dal profilo dell’ingiustizia
onde quest’ultima non può essere giustapposta al primo come mera qualificazione: il danno extracontrattuale è essenzialmente ingiusto e coincide con la lesione di una situazione giuridica soggettiva.

Nel 2043 non si dà danno che non sia ingiusto, e l’ingiustizia non ha senso se non qualifica il danno.

Sul piano analitico il danno è la perdita che riceve qualificazione dall’ingiustizia, la quale consiste nella lesione di una situazione soggettiva.

Il nostro sistema di responsabilità è un sistema evolutivo di illeciti tipici.

Se la tipicità consiste nella necessità della lesione di una situazione soggettiva resa rilevante dalla legge, non potrà darsi danno risarcibile che non sia qualificato da una tale lesione.

Per converso, una concezione realistica del danno, che assuma la pura diminuzione patrimoniale come tale rilevante ai fini della responsabilità, esclude la mediazione costituita dalla lesione di una situazione soggettiva: nel momento in cui ritiene risarcibile il danno meramente patrimoniale, coincide con un sistema nel quale l’elemento oggettivo della fattispecie di responsabilità sia una clausola generale.

La questione circa gli indici di rilevanza del danno si risolve allora sul terreno della costruzione del sistema di responsabilità, risultando pregiudicata dalla tipicità od atipicità (clausola generale) degli illeciti nel senso, rispettivamente, della previa qualificazione normativa o della pura e semplice apprezzabilità della perdita patrimoniale ad opera del giudice.

{Non si risolve perciò, come invece mi imputa di ritenere Mario Barcellona, identificando la tipicità con la tutela dei diritti soggettivi assoluti, e nemmeno identificando l’ingiustizia con la sintesi dei doveri specifici imposti alla generalità dei soggetti a tutela delle situazioni soggettive altrui.

Quanto al primo profilo, non ho mai sostenuto che la responsabilità extracontrattuale sia tutela dei soli diritti assoluti (basti menzionare la tutela aquiliana del diritto di credito, che non è un diritto assoluto).

Quanto al secondo profilo, essendo casomai la sintesi dei doveri specifici l’alterum non laedere, non l’ingiustizia}.

Nell’ordinamento germanico, caratterizzato nell’intenzione del legislatore dalla tipicità degli illeciti, è nata prima della codificazione la Differenztheorie, che definisce il danno risarcibile come la differenza tra lo stato del patrimonio quale sarebbe se l’illecito non si fosse verificato e quello che invece risulta in seguito al fatto.

Una tale definizione fa a meno della lesione di un bene giuridicamente rilevante, ma appare in grado di contenere, proprio per questo, il danno meramente patrimoniale.

Che la situazione non sia questa, tuttavia, è già reso chiaro dal § 826 BGB.

Al di fuori della fattispecie in questione e forse di quella del § 823, comma II, pur essa a struttura di clausola generale, l’obbligazione risarcitoria presuppone la lesione di una situazione giuridica soggettiva.

Il § 823 BGB distingue tra la lesione di diritti soggettivi ed il danno da questa conseguito, onde è a quest’ultimo che la dottrina fa riferimento quando lo definisce nei termini della Differenztheorie.

Danno (Schaden) è dunque la semplice conseguenza patrimoniale negativa della lesione.

E però sia il Codice civile italiano che il BGB adoperano l’espressione “danno non patrimoniale”, la quale risulta contraddittoria, ove vi si legga il danno come diminuzione patrimoniale

La dottrina tedesca e parte della dottrina italiana che ha avvertito il problema hanno riputato di risolverlo definendo il danno in termini diversi a seconda della qualificazione, patrimoniale o non patrimoniale di esso: il danno non patrimoniale coinciderebbe tout court con la lesione, la diminuzione patrimoniale non potendo essere riferita a ciò che non è patrimoniale.

Questa idea soggiace a Corte cost. 184/1986 e a Cass. 6507/2001.

La teoria normativa del danno ha il merito di avvertire l’esigenza di una definizione di danno che possa valere indifferentemente per il danno patrimoniale e per quello non patrimoniale.

Se il danno infatti è costituito dalla lesione del diritto o del bene giuridico tutelato dalla fattispecie di responsabilità, ciò può ben valere per ogni specie di danno, patrimoniale e non.

Come conseguenza, però, la qualificazione del danno, patrimoniale e non, finisce col dipendere dalla natura del diritto violato.

Questo contrasta anzitutto con l’esperienza, la quale mette in luce come dalla lesione di un diritto di natura patrimoniale può derivare una conseguenza non patrimoniale e viceversa.

La coerenza da riguadagnare sul terreno della definizione del danno non può passare attraverso la teoria normativa, nella quale quest’ultimo finisce con l’identificarsi con la lesione.

D’altra parte il danno come conseguenza della lesione non può essere identificato con la differenza patrimoniale tra il prima e il dopo della lesione.

Il diritto romano non conosceva il danno non patrimoniale, che è invece frutto dell’età moderna.

Alla scoperta della specie nuova non corrisponde un adeguamento della definizione riguardante il genere: il danno non può più essere diminuzione “patrimoniale”: esso è semplicemente diminuzione, detrimento, ammanco, pur sempre conseguenza della lesione di una situazione soggettiva, ma da qualificare patrimoniale solo quando risulti suscettibile di valutazione economica.

Per converso la non suscettibilità di valutazione economica non può impedire che si parli di danno quando si voglia identificare la perdita conseguente al fatto responsabilità, ma invece ne impone una qualificazione diversa, la più ovvia essendo quella puramente negativa della non patrimonialità.

L’idea del danno come perdita, che sul terreno patrimoniale si traduce in un ammanco di utilità, sul terreno non patrimoniale consiste in una perdita di qualità dell’essere persona.

Ciò che la teoria normativa (il cui primo teorico fu Neuner) ha messo in luce in maniera decisiva è che il danno non si identifica necessariamente con una differenza economicamente apprezzabile.

Il danno non patrimoniale si definisce in essenza per la non apprezzabilità economica della conseguenza in cui consiste.

{Davide Messinetti individua due momenti essenziali nella nozione di danno: il momento formale, costituito dalla violazione di una situazione soggettiva, e quello sostanziale, consistente nel venir meno per il soggetto delle utilità derivanti dall’attribuzione di un bene; in realtà il primo momento costituisce la lesione, mentre solo il secondo costituisce il danno}.

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