Ambito della riflessione
La precauzione è sotto il riflettore del giurista da pochi anni essenzialmente nella prospettiva della responsabilità extracontrattuale.
Se volgiamo lo sguardo oltre l’illecito aquiliano e consideriamo la precauzione come uno specifico dovere, possiamo fruire di un utile ambito di osservazione per saggiarne l’ambito e la portata.
La riflessione si definisce mediante i seguenti angoli di osservazione:
-contenuto del dovere
-rapporto con la prestazione
-presenza o carenza di un creditore
-ambito di autonomia della precauzione e tutele
-rilevanza della precauzione nell’accertamento della responsabilità
Contenuto, caratteri, estensione dell’obbligazione
Il nocciolo del rapporto obbligatorio sta nella prestazione del debitore, la quale deve essere suscettibile di valutazione economica (art.1174 c.c.). Talvolta la prestazione ha per contenuto la tutela dell’altrui interesse, è garanzia della realizzazione di tale interesse o di ristoro in caso contrario.
Talora la prestazione non è in sé patrimonialmente apprezzabile: in questo senso sono emblematici i doveri inerenti ai rapporti familiari, come i doveri reciproci dei coniugi (art.43 c.c.).
Ma anche nel rapporto obbligatorio si rintracciano doveri in sé non determinati patrimonialmente. Pensiamo al dovere di correttezza ed a quello di buona fede, che permea tutta la fenomenologia del contratto.
Com’è noto, buona fede e correttezza sono doveri il cui contenuto è dato dalla salvaguardia dell’interesse dell’altra parte nei limiti in cui non è pregiudicato un interesse dell’altra parte nei limiti in cui non è pregiudicato un interesse proprio giuridicamente apprezzabile; essi non consistono in prestazioni né in contegni predeterminati sicché sfuggono all’alveo caratteristico dell’obbligazione.
Lo stesso ordine di problemi si è posto relativamente ai cosiddetti obblighi di protezione. Per ricondurli all’ambito dell’obbligazione si è ideata la figura dell’obbligazione senza prestazione per alludere all’esigenza di attingere dal regime dell’inadempimento le regole da applicare a quelle figure.
Infatti, la violazione dei cosiddetti obblighi di protezione, esula dall’adempimento di un’obbligazione, e perciò è al confine tra responsabilità contrattale e responsabilità aquiliana.
Il senso dell’attrazione della violazione dei doveri strumentali all’interesse dell’altra parte nel contesto dell’inadempimento sta nell’esigenza di individuare il regime della responsabilità, cioè delle conseguenze giuridiche della violazione del dovere. Permangono tuttora aree in ci il titolo incide sul regime della responsabilità ai fini del termine di prescrizione (artt.2946 e 2977 c.c.) e della prova di cui è onerato il danneggiato, che, nel caso di inadempimento, è limitata al titolo dell’obbligazione.
La precauzione: esplicazioni e rilevanza
La precauzione è descritta come principio nell’art.191 del TUE, secondo cui la politica della Comunità mira ad un elevato livello di tutela ed è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga” Ad ogni modo tale norma enuncia la precauzione senza definirla.
Significativo è l’ordine delle tutele: il risarcimento presuppone il danno, la prevenzione affronta un certo rischio per evitarlo, la precauzione opera quando non c’è certezza del rischio. Perciò la precazione è regola dell’agire in un contesto di ignoto tecnologico; un criterio creativo di concrete regole di azione, che attraversa la dinamica giuridica in tutte le sue articolazioni sezionali. Esso, per la sua intrinseca portata, travalica le norme sulla protezione dell’ambiente.
Sovente, però si rintracciano disposizioni, che stabiliscono cautele a salvaguardia di determinati interessi. Tali norme, anche se non lo richiamano espressamente, esplicitano il contenuto del principio di precazione. Esse impongono l’osservanza di regole tecniche, da cui deriva la liceità dell’attività che ci si conforma: ma quando viene in rilievo la protezione dei beni primari come la salute, l’osservanza di cautele normative costituisce il livello minimo di tutela, che non esclude la doverosità di precauzioni più intense in ragione delle specifiche competenze tecniche dell’agente.
Dunque la dimensione del principio non è limitata alle regole che lo contemplano.
I molti contributi sulla precauzione in tema di responsabilità civile extracontrattuale, dove viene frequentemente invocato l’art.2050 c.c., in tema di esercizio di attività pericolose, che esclude la responsabilità con la prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Ma, quando il danno si è verificato, le regole di precauzione servono solo per individuare la responsabilità, rilevando su due terreni diversi: la colpa ed il nesso di causalità.
La doverosità di determinati contegni nell’esercizio di un’attività è a ridosso della responsabilità aquiliana e dei cosiddetti obblighi di protezione. E tuttavia differisce da entrambi: dalla prima perché la dimensione giuridica del dovere sta nell’approntare una tutela preventiva; dai secondi perché il dovere non germina da una relazione, a è orientato verso la genialità.
Nei rapporti contrattuali, in mancanza di specifiche prestazioni imposte dalla legge, l’osservanza dei doveri precauzionali esprime la diligenza dovuta (art.1176). La sua inosservanza si risolve in un inadempimento, la cui peculiarità è data da ciò che esso rileva a prescindere dall’inadempimento dell’obbligo di consegna.
Autonomia rilevanza della precauzione nella tutela preventiva
La prevenzione rappresenta l’ambito in cui il dovere precauzionale viene in rilievo come fenomeno rilevante in sé, quando, cioè, non resta assorbito nella responsabilità, contrattuale o extracontrattuale.
Il primo dato da considerare attiene all’ambito della tutela inibitoria (ad esempio art.844 c.c.): la constatazione che l’esigenza della tutela preventiva nasce dall’inadeguatezza della tutela risarcitoria impone di foggiare l’ambito della prima su tutte le posizioni giuridiche protette.
L’inibitoria non po’ risultare esuberante rispetto all’interesse per il quale la precauzione è dovuta: ne segue che il divieto di svolgere l’attività per la quale è prescritta o altrimenti dovuta l’adozione di regole precauzionali si risolve nell’inibire lo svolgimento in assenza di quelle precazioni.
Altra configurazione ha, invece, la tutela preventiva nel rapporto obbligatorio: essa, infatti, essendo strumentale all’interesse del creditore, si risolve nell’ordine di cautelare di adottare la precauzione dovuta.
L’azione di adempimento tende a realizzare l’interesse a cui l’obbligazione è strumentale: pensiamo, ad esempio, alla violazione dell’obbligo di custodia, la quale prescinde dal perimento della cosa che ne è oggetto. Qui l’inadempimento, come dicevamo, sebbene concepito in funzione della responsabilità rileva a prescindere dal danno.
Nella responsabilità: diligenza, precazione e colpa
Nel rapporto obbligatorio la precazione non rileva autonomamente, ma è una componente della responsabilità: anzitutto nella valutazione del nesso di causalità e della colpevolezza; inoltre nella determinazione della misura del risarcimento.
Incominciamo con la colpevolezza. Il primo punto di riferimento è costituito dalla diligenza (art.1176 c.c.) dovuta dal debitore. Qui la prova della precauzione equivale all’adempimento con la diligenza richiesta dalla natura della prestazione.
Per quanto concerne la distribuzione dell’onere della prova, il vantaggio del creditore è mitigato dalla prova, offerta dal debitore, di aver adottato tutte le prescrizioni tecniche e normative, sebbene sia rimasto irrealizzato l’interesse a cui era funzionale l’adempimento.
Per quanto concerne invece l’accertamento, occorre stabilire se sia sufficiente l’osservanza di eventuali prescrizioni normative o tecniche generalmente accreditate o ciò non costituisca un requisito minimo che non esclude, in presenza di una prova attendibile, la pretensione di cautele concretamene più intense.
Quando il dovere precauzionale è materia di previsione normativa, viene in considerazione quel segmento della colpa consistente nell’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art.43 c.p.).
Ciò introduce l’interrogativo se, dinanzi all’ignoto tecnologico, l’osservanza della disciplina dell’attività esercitata sia, in sé, sufficiente ad escludere la colpa e, con essa, la responsabilità.
Se le norme si esauriscono nell’individuare il parametro di liceità pubblicistica dell’esercizio di una determinata attività, la loro osservanza non esclude l’insorgere di qualche responsabilità; quando, invece, i parametri normativi dell’attività sono costruiti in funzione dell’interesse che la norma intende presidiare, la loro osservanza orienta la soluzione in senso opposto.
Rimane però un’area di confine, là dove il danno, verificatosi nonostante la piena osservanza delle prescrizioni normative, non sia da attribuire a fattori estrinseci, e, quindi, le stesse regole precauzionali esistenti abbiano rivelato la loro insufficienza a distribuire il rischio dell’ignoto tecnologico: da una parte il rispetto delle tecniche imposte dalle norme precauzionali porta ad escludere l’illecito; dall’altro, la conseguenza che il danno debba restare a carico di chi lo ha subito lascia insoddisfatti.
Un orientamento verso la soluzione deve muovere dalla constatazione che l’adozione di misure precauzionali al livello di normazione primaria o secondaria presuppone qualche accertamento delle potenzialità di rischio insite in determinate attività, di cui debbono farsi carico anche i soggetti che in concreto la esercitano. Perciò un criterio utile a fondare un dovere precauzionale più intenso può essere rintracciato nelle condizioni soggettive dell’esercente l’attività: cioè nella sua attitudine ad avvedersi dell’esigenza di osservare tecniche operative più rigorose di quelle prescritte. In definitiva, occorre precludere ogni possibilità di impiegare l’ignoto scientifico come causa di giustificazione.
In secondo luogo viene in rilievo la condizione soggettiva del destinatario della precauzione: essa ne accresce l’intensità in funzione dell’interesse protetto. Ad ogni modo l’onere di provare il nesso di causalità graverà sul danneggiato.
Nella responsabilità: precauzione e causalità. La responsabilità sanitaria.
I canoni precauzionali, in quanto strumentali alla gestione del rischio, finiscono col porre altrettanti criteri di imputazione della responsabilità. Sebbene elaborati su un piano di valutazione oggettiva dell’azione, essi divengono strumenti per stabilire la ripartizione delle conseguenze dannose di un’azione. Così come non può essere impiegata per giustificare una diligenza inadeguata, l’incertezza scientifica non deve rappresentare un ostacolo insormontabile per il danneggiamento ai fini della prova del nesso causale.
Una volta accertata la derivazione del danno dall’attività retta da canoni precauzionali, il rischio corrispondente va riferito a chi esercita l’attività qualora non risulti che il danno stesso sia dipeso da un fattore estrinseco.
Del Prato ritiene preferibile dimensionare sull’ignoto tecnologico le regole di imputazione della responsabilità extracontrattuale, nel senso di fare gravare i relativi rischi sull’autore dell’attività: la violazione della precauzione rappresenta, in campo extracontrattuale, l’evento fondante il rischio di responsabilità anche ai fini della causalità.
La mancanza di precauzione nel risarcimento del danno
Confluiscono nel risarcimento interessi complessi quando la violazione genera altri danni: la prestazione non rappresenta il polo esclusivo del risarcimento.
Quando viene in rilievo la violazione di un dovere che non si concreta in una prestazione, non è dato configurare quale sia il risultato perduto per effetto della violazione.
E’ da chiedersi se il difetto di precauzione, così come ai fini del nesso di causalità, possa influire ai fini della prova del danno risarcibile. Il principio di fondo è che la risarcibilità del danno presuppone sempre la prova della perdita patrimoniale o del mancato guadagno.
In linea di principio la liquidazione equitativa (art.1226 c.c.) può supplire alla carenza di prova della misura del danno, ma non può intervenire se quest’ultimo non sia provato, almeno in via presuntiva, della sua esistenza.
Il risarcimento è intrinsecamente collegato al danno, e non costituisce una sanzione civile contro un comportamento antigiuridico, salvo che ciò sia previsto dalla legge o concordato tra le parti, come accade nel caso della clausola penale (art.1382 c.c.).