A favore del principio nominalistico si sogliono portare diversi argomenti. Nella ricerca di assegnare a tale principio una fondazione non strettamente politica si colloca quella tendenza che collega l’affermazione del principio alla funzione e ruolo del denaro nelle economie sviluppate. Su di un terreno più realistico e di pratica politica si collocano quelle posizioni che esprimono dubbi in ordine alla stessa possibilità razionale di un principio di valorismo generalizzato operante in forma automatica, apparendo invece indispensabile affinché talune categorie di creditori possano godere del beneficio del valorismo.
Ma riserve di carattere sia etico che politico potrebbero manifestarsi, specialmente negli attuali modelli di stato sociale, nei riguardi di un’applicazione del principio nominalistico che fosse in stridente contrasto con i più elementari principi di giustizia distributiva. Si dovrà dire tuttavia che tale principio convive e coesiste con l’adozione di sistemi di valorismo parziale, e operanti in forme automatiche o semiautomatiche. Si riconduce in buona sostanza ad una forma di valorismo contrattuale la pratica, introdotta nel nostro paese della contrattazione collettiva per i lavoratori dell’industria, e consistente nella indicizzazione del salario ossia nell’aggancio della entità di esso alle variazioni del prezzo di beni definiti essenziali.
Ed è nota altresì la resistenza opposta dai sindacati ad un intervento della legge in tale settore, che finirebbe con il sostituire ad un sistema elastico e contrattato di valorismo uno più rigido e sottratto ad ogni influenza delle organizzazioni sindacali. Alle forme di valorismo che operano in via preventiva si contrappongono forme di valorismo operanti a posteriori o meglio definite di rivalutazione e il cui spazio di manovra è quello non occupato dall’autonomia delle parti. E sarebbe superfluo osservare che l’autonomia delle parti non potrà operare che per singoli casi.
Le forme di valorizzazione possono trovare la loro origine in provvedimenti di legge o nelle pronunce dei giudici, dando vita a forme di valorizzazione legale o giudiziale, ma operano soltanto le prime generaliter laddove le pronunce dei giudici diventano significative quando non sono apprezzate per i singoli casi ma si iscrivono in un più complessivo disegno di politica giudiziale. Esemplare comunque di una forma di rivalutazione legale dei crediti è rimasta l’esperienza lasciataci dalla legislazione tedesca degli anni della grande crisi del 1924\25. È invece evidente che il ricorso a forme di rivalutazione, operanti in via legislativa, sarà più frequente nella vasta area del settore di prezzi e\o di canoni bloccati o amministrati.
Può chiamarsi, a titolo di esempio, la complessa e contraddittoria legislazione vincolistica la quale stabiliva le percentuali di aumento dei canoni, a seconde della data della locazione. Tale forma non sarà più abbandonata dal legislatore, per cui si assommerà all’effetto della proroga quello dell’aumento dei canoni. In un’ottica singolare sembra essersi posto il legislatore del 1970 che, in occasione della emanazione di nuove norme sul processo di lavoro ha introdotto una forma di valorizzazione dei crediti di lavoro operante a posteriori e per le vie di un giudizio, diretto ad ottenere una condanna del datore al pagamento di somme in favore del lavoratore (429 c.p.c.) e con riguardo alla quale si può parlare dell’adozione di una forma mista che mette assieme l’automatismo della rivalutazione legale con l’aspetto individualizzante della rivalutazione giudiziale.