Altra è la questione dell’omissione.

{Guido Alpa chiama “colpa omissiva” anche l’omissione, echeggiando una stagione nella quale la colpa non solo indicava un criterio di imputazione ma pure la responsabilità civile tout court.

Sarebbe opportuno adoperare il termine “omissione” soltanto per denotare “la vera e propria violazione di una norma che obbliga il convenuto ad agire”, non foss’altro perché l’omissione non implica di per sé la colpa, come l’espressione “colpa omissiva” può indurre a ritenere}.

Qui si tratta del mancare di una condotta nel suo insieme, cioè di un fatto illecito tutto intero nel quale il fatto non è una condotta ma l’assenza di una condotta dovuta.

{Giuseppe Cricenti, incurante della distinzione, ne Il problema della colpa omissiva, Padova 2002, sin dal titolo va fuori strada, perché la colpa è qualificazione della condotta, commissiva od omissiva, mentre la materia alla quale l’autore dedica attenzione è l’omissione come violazione di un obbligo di agire.

Ove fosse necessario insistere sulla diversità tra colpa (omissiva) ed omissione, tale diversità è asseverata dalla duplice considerazione che la legge riserva all’omissione, in generale prevista dal 40.2 c.p. (Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo), ed alla colpa, definita al 43.1 (Il delitto […] è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline): onde, accertata l’omissione, occorre ulteriormente stabilire se essa sia o no imputabile al soggetto, se cioè il soggetto potesse o meno essere ritenuto in colpa nel momento in cui la violazione si è verificata.

Quanto ai profili più specificamente civilistici, poi, non è corretto affermare che, ad accettare l’idea della tipicità delle omissioni, verrebbe smentito il ruolo di clausola generale del 2043 (Risarcimento per fatto illecito).

Analiticamente si deve parlare di clausola generale con riguardo al 2043 non riferendosi alla norma tutt’intera, bensì soltanto all’ingiustizia del danno.

Quest’ultima connota il danno, laddove l’omissione è una modalità (negativa) della condotta, del fatto.

Vero è, invece, che il 2043 fa riferimento a “qualunque fatto”, commissivo od omissivo.

Il 2043 non può essere considerato tutt’intero una clausola generale, e basterebbe in questo senso considerare la necessità di accertare il nesso causale, la colpevolezza, il danno, oltre all’ingiustizia di esso.

In secondo luogo la necessità di fare capo ad una norma diversa dal 2043 per stabilire l’esistenza dell’obbligo serve esclusivamente a rendere rilevante l’omissione come fatto ai sensi del 2043.

Per stabilire quando un niente, come è l’assenza di un fatto, rileva come fatto ai sensi del 2043, occorre che tale niente sia qualificato come fatto.

Cosa che implica l’esistenza di una norma che tale transustanziazione sia in grado di operare.

Pensare che in luogo di una norma ad hoc possa essere l’interprete a stabilire quando l’obbligo che si pretende violato sussista significa rendere l’interprete signore della qualificazione di antigiuridicità e, mediatamente, della sua illiceità, e poiché quest’ultima è qualificazione essenziale del fatto ai fini dell’effetto risarcitorio, la responsabilità, che è obbligazione, dipenderebbe nel suo nascere da una valutazione dell’interprete, in contrasto col 23 Cost.}.

L’ordinamento considera tale mancanza nei termini della violazione di un obbligo di impedire un evento, che o trova specifica previsione in un illecito tipico, di cui è esempio classico l’omissione di soccorso (593 c.p.): avremo allora l’omissione propria; oppure rientra nella previsione generale del 40.2 c.p., che in generale assimila ad una condotta causalmente rilevante e perciò fonte di responsabilità quella di chi non impedisce un evento che ha l’obbligo giuridico di impedire: ed è questa l’omissione impropria.

Il non fare ciò che la legge impone di fare integra già una fattispecie di responsabilità; solo che la legge lo qualifica nei termini del linguaggio causale, considerandolo come se si trattasse di un elemento causalmente rilevante in una più ampia fattispecie di responsabilità.

Dal punto di vista del diritto civile si tratta di stabilire quando la fattispecie costituita dal non fare ciò che si è tenuti a fare mette capo a responsabilità aquiliana e quando a responsabilità contrattuale.

La differenza permane sotto il profilo del dovere violato.

Nel caso della responsabilità aquiliana si tratta soltanto di un dovere, mentre in quella contrattuale la violazione concerne un obbligo, che vincola specificamente un debitore nei confronti di un creditore.

Mentre nella responsabilità contrattuale la violazione dell’obbligo è ragione sufficiente di responsabilità, salvo che il debitore provi l’impossibilità esimente, l’omissione extracontrattuale dà luogo a responsabilità soltanto quando sia imputabile a dolo o colpa.

La distinzione risolve l’apparente contraddizione nella quale in maniera
consapevole cadeva Gian Pietro Chironi: nel connotare l’omissione (non la colpa omissiva, che è sempre e soltanto colpa) come violazione di un obbligo, l’antico autore non riusciva a fornire un criterio atto a distinguere responsabilità contrattuale e responsabilità aquiliana, poiché ambedue finivano col radicarsi nella violazione di obbligazioni.

La soluzione sta nella distinzione classica, secondo cui la prima sarebbe sanzione dell’inadempimento di un obbligo e la seconda della violazione di doveri.

Ma l’antico dato formale si sostanzia di contenuti nuovi.

Da un lato non si tratta più dell’inadempimento dell’obbligazione, identificata con l’obbligo di prestazione, ma anche di obblighi di diverso contenuto che pur siano preesistenti o indipendenti dalla prestazione; dall’altro, ove si tratti di doveri e non di obblighi, tali doveri vanno distinti secondo che siano volti a conformare il comportamento alla stregua della diligenza o della conformità all’ordinamento; oppure siano posti come doveri assoluti, direttamente a tutela di interessi o beni giuridici.

Nel primo caso la loro violazione rileva nei termini della colpa o della antigiuridicità; nel secondo caso come omissione, cioè quale modo negativo del fatto illecito.

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