La regola di responsabilità
La disciplina certa della responsabilità per danno da prodotti è arrivata negli ordinamenti europei con l’attuazione della direttiva comunitaria 374/1985.
L’1. d.p.r. 224/1988, ora 114 Cod. cons. (Responsabilità del produttore), prevede che Il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto.
Si tratta di una responsabilità oggettiva, come denota il fatto che la norma fa rispondere il produttore senza colpa, e per converso le cause di esclusione della responsabilità, previste al 118, a loro volta prescindono dall’assenza di colpa.
Il difetto ed il prodotto sono i due poli sui quali si struttura la nuova responsabilità del produttore.
Il prodotto come categoria di delimitazione della responsabilità
Anzitutto, nella prospettiva comunitaria, va precisato il confine tra la responsabilità per i prodotti dannosi e quella derivante dalla mera prestazione di servizi.
Quest’ultima non ha ancora ricevuto consacrazione in una direttiva, ma la Commissione ha presentato una proposta di direttiva nel 1990, dalla quale emerge ch’essa sarebbe applicabile ad ogni prestazione eseguita a titolo professionale ed il cui oggetto diretto ed esclusivo non sia la fabbricazione di beni.
Ove il prestatore di servizi sia anche produttore di beni che si compongano nel servizio come oggetto della sua prestazione, per i danni derivanti da tali beni esso risponderà come produttore.
Il 2 d.p.r. 224/1988 definisce prodotto ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile.
La definizione va letta con l’aggiunta sottintesa: “che sia il risultato di un’attività professionale”.
Al II comma si precisa che Si considera prodotto anche l’elettricità.
Il produttore
Il d.p.r. 224/1988 non contiene una definizione completa di produttore.
Dopo aver detto che esso è sia il fabbricante del prodotto finito che quello di una sua componente nonché il produttore della materia prima, non chiarisce se debba considerarsi produttore solo il soggetto professionale od anche il soggetto persona fisica che produca alcunché e poi lo metta in circolazione.
La risposta nel primo senso è suggerita dalla considerazione che la legislazione europea di diritto privato si caratterizza generalmente come riferita ad un soggetto qualificato consumatore e concepito come controparte di un soggetto professionale.
La risposta è suggerita anche dalla considerazione che il danno oggetto della disciplina è il danno alla persona ed il danno alle cose normalmente destinate all’uso od al consumo privato, con un’evocazione implicita del consumatore, al quale nella legislazione europea viene tipicamente contrapposto il professionista.
Nel secondo senso, invece, sta la mancanza testuale di qualificazione professionale del produttore, da intendersi come agevolazione della posizione del consumatore.
A nostro avviso il produttore interessato dalla direttiva e dal d.p.r. è il produttore professionale.
In tal senso suggerisce la storia della responsabilità del produttore, che è una storia riferita all’impresa industriale.
In secondo luogo, stando al d.p.r. 224/1988, è soggetto professionale colui che esercitando un’attività commerciale importi nella Comunità il prodotto per metterlo in circolazione, come prevede il 3.4 (116 Cod. cons.), che a tale titolo lo rende responsabile in luogo del produttore.
Ed analogamente è soggetto professionale il fornitore che, ancora una volta in luogo del produttore, può esser fatto responsabile.
Poiché sia l’importatore che il fornitore vengono equiparati al produttore ai fini della responsabilità, la professionalità che caratterizza i primi depone nel senso che anche il produttore debba essere un soggetto professionale.
Dal punto di vista della politica del diritto, poi, non si vede alcuna ragione per disciplinare nei termini rigorosi del d.p.r. 224/1988 una produzione non professionale.
Se il produttore aliena direttamente il prodotto al consumatore, basterà la disciplina della vendita.
Se il prodotto è stato commercializzato da altri, la professionalità di questi ultimi supplirà utilmente alla non responsabilità del produttore.
Tipologia dei difetti
Nel d.p.r. 224/1988 si riscontra una lieve variazione testuale rispetto alla direttiva CEE 374/1985: mentre quest’ultima parla di “un difetto” del prodotto, il legislatore nostrano ha preferito parlare di “difetti”.
L’uso del plurale probabilmente ha inteso significare il riferimento alla classificazione adottata in precedenza dalla dottrina europea, sulla scorta di quella statunitense, in base a tipi di difetti.
Essi sono essenzialmente tre e sono i difetti di costruzione, quelli di fabbricazione e quelli che risultano tali in seguito allo sviluppo scientifico e tecnico successivo alla messa in circolazione del prodotto.
Un quarto tipo si trova accostato ai precedenti, ed è quello dei prodotti non accompagnati da adeguate istruzioni per l’uso e dalle avvertenze necessarie a prevenire inconvenienti che dall’uso possano derivare: benché immune da vizi che lo rendano inidoneo all’uso, secondo l’espressione del 1490 c.c. (Garanzia per i vizi della cosa venduta), il prodotto può rivelarsi difettoso nel senso del 5 (Prodotto difettoso) d.p.r. 224/1988 (117 Cod. cons.), cioè non offrire ugualmente la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, nel momento in cui il consumatore non viene adeguatamente guidato ad un uso corretto.
Se il legislatore italiano ha inteso riferirsi a tale classificazione, il plurale ha voluto significare che il produttore risponde quale che sia il tipo di difetto che caratterizza il prodotto.
Fra i tipi della classificazione rimangono fuori dall’arco della responsabilità i difetti del terzo tipo, quelli che si rivelino in seguito all’evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecniche verificatasi successivamente alla messa in circolazione del prodotto.
Anzi, si tratta di una delle ipotesi espressamente previste dal 118 Cod. cons. di esclusione della responsabilità.
La connotazione fondamentale del prodotto difettoso è però l’inidoneità del prodotto stesso ad offrire la sicurezza che ci si può legittimamente attendere.
Il difetto
Il modello di responsabilità del produttore adottato dalla Comunità europea trova matrice nell’esperienza statunitense proprio nell’utilizzazione del difetto quale referente necessario della responsabilità.
{Peter Schlechtriem dà testimonianza, in un suo studio del 1991, del filtraggio nella dottrina tedesca, attraverso Ernst von Caemmerer, della classificazione per tipi di difetto proveniente dagli Stati Uniti}.
In quell’esperienza il danno da prodotti quale ipotesi particolare di responsabilità civile nasce in un contesto contrattuale, nel quale si pone nei termini del problema se il danneggiato che non abbia acquistato dal produttore la cosa fonte del danno possa ugualmente agire nei confronti di quest’ultimo per il risarcimento.
Si tratta di vincere nella common law, prima statunitense e poi europea, la privity of contract.
Secondo George Priest, il requisito del difetto fu introdotto dagli autori del Restatement of Torts, second perché la responsabilità oggettiva fu considerata strettamente somigliante alla garanzia per i vizi del diritto dei contratti.
L’innesto del difetto nella struttura della responsabilità extracontrattuale costituisce il modello al quale si è rifatto il legislatore europeo.
Lo conferma il raffronto testuale tra il § 402A del Restatement e gli articoli 1 e 5 del d.p.r. 224/1988.
Nel Restatement la responsabilità si pone in esito alla messa in commercio di un prodotto difettoso che sia particolarmente pericoloso; nel d.p.r. 224/1988 viene ancorata ai difetti del prodotto, il quale a sua volta è considerato difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere.
Il produttore risponde del danno che si manifesta come risultato della mancanza di sicurezza, e cioè della spiccata propensione del prodotto al danno medesimo.
Invero, se il legislatore avesse voluto ancorare la responsabilità al difetto, essa avrebbe dovuto conseguire tout court ad un danno generato dal difetto, inteso quest’ultimo come ciò che rende il prodotto inidoneo all’uso a cui è destinato o ne diminuisce in modo apprezzabile il valore (1490.1).
Non è così, anzitutto, per la diversità del “difetto” rispetto al “vizio” rilevante nella vendita.
In secondo luogo perché, nel momento in cui il difetto viene definito in termini di non sicurezza, esso entra in corto circuito col danno, risultando la non sicurezza qualificazione del prodotto desunta a posteriori dal danno verificatosi.
In questi termini il difetto diventa un puro medio verbale, inerte sul terreno precettivo.
Esso non indica un quid dotato di realtà propria: si tratta piuttosto della sostanziazione di qualità negative, che come tali si configurano solo in relazione ad un danno.
{Non condivide quanto affermato nel testo Fabrizio Cafaggi, sostenendo che può darsi il caso che il difetto sussista e sia idoneo a generare danno anche indipendentemente dall’uso del prodotto.
Ma l’1 d.p.r. 224/1988 prevede che Il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto: la disciplina del d.p.r. 224/1988, cioè, si applica solo quando un danno si sia verificato.
Il che non toglie che il consumatore possa far valere il difetto in funzione di tutela: non però applicando le regole della responsabilità previste dal d.p.r. 224/1988, perché la responsabilità presuppone il danno.
Se non si è verificato danno, il difetto assume proprio per questo rilevanza propria onde diventa oggetto di prova; ma nell’ottica della garanzia per i vizi, o, in seguito alla nuova disciplina sulla vendita di beni di consumo (128 ss. Cod. cons.), del difetto di conformità}.
Se, come nell’esperienza statunitense, il difetto è sembrato la categoria necessaria a filtrare una responsabilità di tipo oggettivo, esso non solo si rivela non necessario quando i modelli di responsabilità oggettiva sono accreditati come tali negli ordinamenti, ma appare addirittura fuorviante nel momento in cui sembra riferirsi ad alcunché di reale che possa essere accertato a prescindere dagli epifenomeni dannosi di cui sarebbe manifestazione.
Poiché in realtà sono questi e solo questi a rilevare, il difetto può continuare ad essere usato solo come sintesi linguistica di essi.
Ma nel momento in cui si tratta solo delle escrescenze dannose dell’uso del prodotto, il criterio sul quale in ultima analisi la responsabilità del produttore si asside è l’organizzazione d’impresa, nel caso in cui il danno generato dal prodotto manifesti una défaillance, ove in pari tempo non ricorra una delle situazioni che il 118 Cod. cons. qualifica di esclusione della responsabilità; o addirittura la pura e semplice paternità del prodotto, quando sia accertato il nesso causale tra l’uso di esso ed il danno, e non ricorra una colpa del danneggiato che sia in grado di escludere la responsabilità perché configurabile nei termini della consapevole e volontaria esposizione al pericolo di cui al 122.2 Cod. cons.
Quest’ultima ipotesi sembrerebbe ricorrere nei danni da fumo.
Qui si mette in luce in maniera esemplare la differenza tra il vizio cui si riferisce la garanzia nella vendita ed il difetto da cui nascerebbe la responsabilità del produttore.
Non basta affermare che un buon tabacco per definizione non è viziato per chiudere il discorso sulla responsabilità: secondo il 117 Cod. cons. (Prodotto difettoso), un prodotto può dirsi difettoso, e perciò meno sicuro di quanto il consumatore si possa attendere, anche in relazione alle avvertenze che (non) lo accompagnano (in questo caso, anzitutto, l’assuefazione; in secondo luogo, la specifica dannosità del prodotto) ed ai comportamenti che si possono ragionevolmente prevedere (chi si assuefa corre più rischi perché continuerà a fumare; chi fuma corre più rischi di contrarre certe malattie).
In mancanza di tali avvertenze non si potrà parlare di assunzione del rischio da parte del consumatore.
Tornando al 118 Cod. cons. ed alle ipotesi di “Esclusione della responsabilità” ivi contemplate, anch’esse concorrono a mettere in evidenza la neutralità del difetto nella struttura della responsabilità disegnata dal d.p.r. 224/1988.
Infatti le ipotesi di esclusione della responsabilità mettono in luce un referente di essa che sta oltre e al di là del difetto ed è immediatamente individuabile nell’organizzazione costitutiva dell’attività di impresa.
Le sei ipotesi contemplate dal 6 (Esclusione della responsabilità) d.p.r. 224/1988 (118 Cod. cons.) mettono capo appunto all’attività d’impresa, ove si eccettuino le due di cui alle lettere b) ed f).
Ma in queste due ipotesi il difetto semplicemente non c’è o riguarda altri.
Un’idea di medietà linguistica neutra del difetto soggiace anche alla tesi, avanzata nella dottrina germanica, che dalla definizione di esso in termini di non sicurezza ha creduto di ritrovare il modello delle Verkehrspflichten (Hermann Weitnauer, Christian von Bar), categoria esprimente doveri la cui omissione genera responsabilità.
In esse si opera una concretizzazione in doveri specifici, propri all’attività da cui genera il danno, del dovere generico di diligenza derivante dal principio alterum non laedere.
Secondo la richiamata ricostruzione il produttore finisce col rispondere per la violazione di uno di tali doveri.
{Nella letteratura germanica ed anche in quella italiana si assiste di recente ad una simile riconversione verso forme più attenuate di responsabilità, nelle quali l’originaria responsabilità oggettiva viene commista a ritorni più o meno consistenti di modelli soggettivi: sono esempio di ciò Peter Schlechtriem e Giulio Ponzanelli.
Al contrario Karl Larenz e Claus-Wilhelm Canaris parlano di responsabilità che prescinde dalla colpa, che per l’innanzi i giudici non avrebbero potuto dichiarare.
Katzenmeier conferma ora che l’opinione prevalente in Germania è nel senso della responsabilità oggettiva.
Del resto, il considerando n. 8 della direttiva 34/1999, di modifica della direttiva 374/1985, parla in termini inequivoci di “principio della responsabilità oggettiva di cui alla direttiva 85/374 CEE”}.
Il difetto però in questi termini risulta ancora una volta privo di reale portata costitutiva della responsabilità.
{Christian von Bar afferma che il difetto del prodotto per il quale si risponde senza colpa viene connotato quasi con le stesse parole che definirebbero la colpa.
Invece nella letteratura americana il difetto viene definito in maniera chiaramente evocativa dei vizi redibitori, perché il contesto nel quale l’idea germina è quello della vendita (Karl Nickerson Llewellyn afferma che l’idea che il prodotto debba essere adatto ad un certo uso si riferisce alla vendita orientata ad un consumatore finale, e che la garanzia si presenta come strumento alternativo alla responsabilità extracontrattuale per la tutela del consumatore.
Infatti Roger Traynor, uno dei padri del danno da prodotti negli Stati Uniti, in una sua opera del 1965 inizia la ricognizione delle definizioni di difetto con l’identificazione del danno da prodotti con la deviazione da uno standard)}.
Nonostante l’idea comune di neutralità del difetto, la tesi appena riferita si colloca al polo opposto rispetto a quella adottata in queste pagine.
Le Verkehrspflichten, diversamente dalla responsabilità oggettiva, danno luogo ad una responsabilità che sul piano formale è ancora fondata sulla violazione del dovere di diligenza, benché coniugata con l’inversione dell’onere di prova della colpa.
Una responsabilità che in termini formali risulta ancora strutturata sulla colpa finisce in un’inspiegabile smentita della lettera e dello spirito della direttiva e dei diritti nazionali che han dovuto provvederne l’attuazione, cospiranti verso una responsabilità senza colpa.