La dottrina ha avuto modo di problematizzare molto sulla questione del contratto con se stesso, sicuramente, nell’area della rappresentanza diretta (quella fino ad ora indagata); adesso, è necessario chiedersi se il contratto con se stesso sia individuabile anche nell’ambito della rappresentanza indiretta.
Nel caso dell’esistenza tra mandante e mandatario di una rappresentanza indiretta, si verifica che il mandatario agirà sicuramente per conto del mandante, ma allo stesso tempo non spenderà il nome di costui nel regolamento contrattuale,bensì il proprio; ciò comporta che all’interno del contratto il mandatario non sia semplice manifesto della volontà del mandante, ma assuma effettivamente il ruolo di parte contrattuale.
Non è dunque possibile individuare quella necessaria scissione tra le parti del contratto, che rendono possibile individuare il contratto con se stesso: in questo frangente, il mandatario è si rappresentante del mandante, ma poiché gli effetti degli atti compiuti ricadono nella sua sfera giuridica, lo stesso assolverà anche il ruolo dello stesso mandante (ovviamente come finzione).
Ed allora, si evince che il requisito fondamentale che nella rappresentanza indiretta difetta, e che pertanto inficia la realizzazione del contratto con se stesso è proprio la bilateralità del rapporto, poiché esso non può soddisfare due interessi contrattuali distinti come nel caso della rappresentanza diretta; il rappresentato ,in qualità di mandante, non partecipando ad alcuna delle manifestazioni contrattuali e non realizzando direttamente nella propria sfera giuridica gli effetti delle stesso, diviene un puro e semplice destinatario dei suddetti effetti, e non parte contrattuale (qualità da riferirsi sempre e solo al mandatario); il contratto con se stesso deve essere allora una tipologia esclusa dal fenomeno della rappresentanza indiretta, per quanto, in passato, la dottrina lo abbia indicato come emergente proprio in questo ambito. Il riconoscimento che se ne è dato nella rappresentanza diretta, ad oggi, lo fa escludere proprio dal settore in cui è nato.
Il fenomeno del contratto con se stesso viene altresì indagato dalla dottrina nell’ambito della rappresentanza legale.
In via generale deve affermarsi che quest’ultima in nulla differisce rispetto alla rappresentanza volontaria, nel senso che sussiste pur sempre una sostituzione in capo al rappresentato, da parte del rappresentante, il quale agirà in nome e per conto di questi, realizzando quel requisito della bilateralità che è perciò assolutamente necessario; con l’unica differenza che in questo caso la sostituzione è preordinata e comandata con legge, e non deriva dall’autonoma volontà delle parti.
Stando così le cose, non sembra inammissibile pensare che la figura del contratto con se stesso sia perfettamente ammissibile anche nell’ambito della rappresenta legale. Né potrebbe affermarsi che essendo il rappresentato un soggetto così determinato dalla legge, lo stesso non potrebbe dar vita ai quei presupposti di validità, che essendo frutto dell’autonomia contrattuale dei privati, non gli competono affatto, ma che renderebbero lecito il suddetti tipo di contratto con se stesso.
Una considerazione del genere deve assolutamente aberrarsi, poiché laddove il legislatore dovesse avvertire l’esistenza di un pericolo di esercizio abusivo del contratto, lo stesso interverrebbe con i medesimi strumenti (la legge) con i quali è intervenuto a fissare la rappresentanza ed il contestuale contratto con se stesso. Senza poi dimenticare che, stante così le cose, il rappresentato ex lege, che nell’affidare il proprio incarico al rappresentante dovesse essere vittima di un comportamento abusivo dello stesso, sarà maggiormente facilitato a produrre in giudizio la prova di un simile abuso, ed ottenere l’annullamento del contratto così realizzato.
Eppure esiste una contraddizione in termini rispetto a quanto fino ad ora affermato: nel caso pratico,ad onta di chi afferma che il contratto con se stesso non collide con la rappresentanza legale,si verifica che al genitore co-esercente la patria potestà sul figlio minore (e perciò stesso suo rappresentante legale),non si consente di accettare la donazione che egli stesso abbia fatto nei confronti del minore donatario (sarebbe esso, di fatti, un contratto con se stesso).
Un ambito particolare nel quale è possibile ravvisare la presenza del contratto con se stesso è quello della cd. rappresentanza organica: all’interno della stessa ciascun organo dell’ente assume la sua rappresentanza, agendo in nome e per conto di questo, come se lo determinasse addirittura come persona fisica; dunque, non risulta particolarmente gravoso individuare in capo ad essa una forma di bilateralità, che in nulla differisce rispetto a quella della rappresentanza volontaria.
Nel caso specifico della rappresentanza organica, l’atto realizzato per conto del rappresentante – organo dell’ente viene riferito direttamente alla sfera giuridica dell’ente stesso, ma non solo per ciò che attiene gli effetti che lo stesso produce, bensì anche per ciò che attiene il regolamento proprio, l’atto con il quale si concretizza l’affare concluso in rappresentanza dell’ente (ed allora l’ente diventerà sicuramente parte sostanziale del rapporto che lo vede coinvolto, ma ne sarà anche parte formale, in un certo senso).
A questo punto, il principio della bilateralità in capo a tale tipologia di rappresentanza sembra ancora più palese, e con esso anche la circostanza che lo stesso contratto con se stesso può essere più facilmente ammesso (poiché figurerebbe esistere una bilateralità di interessi, ma altresì una bilateralità di fattispecie, come vorrebbe la più classica ed accreditata dottrina).
Eppure, anche nell’ambito della rappresentanza organica il conflitto d’interessi, che importa la annullabilità del contratto con se stesso, può essere fatto valere solo quando si sia realizzato a seguito di esercizio abusivo del potere rappresentativo,e non quando esista solo come situazione statica e meramente potenziale.
In maniera peculiare, può accadere che il rappresentato comandi al rappresentante di realizzare per suo conto ed in suo nome una dichiarazione che dia vita ad un negozio unilaterale, il quale produca effetti giuridici diretti nella sfera di un terzo. Ora, può accadere che il rappresentante decida di realizzare l’incarico conferitogli in modo che gli effetti dell’atto unilaterale ricadano direttamente nella sua sfera giuridica, assumendo la duplice posizione di rappresentante e di terzo del rapporto.
Ebbene,anche in questo si è realizzata quella che definiamo essere la bilateralità del rapporto, e dunque anche in questo caso si rende ammissibile l’esistenza di un contratto con se stesso (come d’altronde è quello prospettato); e lo stesso potrà essere vittima di conflitti d’interessi solo qualora il rappresentante abbia concretamente agito abusando della sua posizione e inficiando l’interesse del rappresentato (come normalmente prevede l’articolo 1394 c.c.).