Questa tesi è stata avanzata nella letteratura germanica in materia di responsabilità precontrattuale.

Il punto di partenza è l’idea che la responsabilità precontrattuale si radichi nella violazione dell’affidamento, secondo la ricostruzione datane da Kurt Ballerstedt (ed accolta da Luigi Mengoni).

Dall’affidamento nascono bensì degli obblighi, ma la violazione di essi genererebbe una responsabilità speciale: ne risulta una c.i.c. [culpa in contrahendo] situata a metà tra contratto e torto.

{Così Claus-Wilhelm Canaris; Pietro Trimarchi afferma che la responsabilità da violazione della buona fede nelle trattative occupa una posizione intermedia tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

La tesi della terzietà della responsabilità precontrattuale fu sostenuta nella dottrina italiana da Rodolfo Sacco, ma dalla parte opposta rispetto a Claus-Wilhelm Canaris, cioè ritenendo quella del 1337 (Trattative e responsabilità precontrattuale) una fattispecie particolare di illecito}.

A questa prospettazione è sottesa l’idea di una responsabilità contrattuale che si identifica con la responsabilità per inadempimento.

Ulteriormente l’idea che, nonostante la fonte degli obblighi altri sia la legge, la diversità del loro contenuto non consenta di equipararli tout court alle obbligazioni ex lege.

La tesi però si mette in questione da sé nel momento in cui rileva come la c.i.c. sia “essenzialmente più vicina” alla responsabilità contrattuale, avendo di quest’ultima le caratteristiche più significative.

La difficoltà di concepire l’autonomia di un tertium genus aumenta di fronte all’affermazione che la scelta tra disciplina aquiliana e disciplina contrattuale dovrebbe essere tutta di diritto giurisprudenziale.

La presunta autonomia di terza via attribuita alla c.i.c. nella responsabilità di diritto civile troverebbe in ultima istanza giustificazione in ciò: che gli obblighi dalla cui violazione essa trae origine non implicano una prestazione determinata nel suo contenuto, bensì traggono contenuto dalla buona fede in relazione all’interesse di volta in volta tutelato.

Ma questa differenza non è in grado di dar vita ad una disciplina differenziata, perché l’ordinamento riconosce ed articola due specie di responsabilità di diritto civile, e non è dato rinvenire alcun indice normativo che in pari tempo sia di responsabilità e non sia riducibile all’una od all’altra specie.

L’interprete può scoprire nuove ipotesi di responsabilità ed indicarne la disciplina relativa tra quelle approntate dal legislatore, ma non ha il potere di inventare modelli di responsabilità.

Ne risulterebbe un’incertezza normativa strutturale, diversa dalla semplice incertezza interpretativa.

Le critiche appena formulate precludono di per sé la praticabilità di una terza via di responsabilità fra contratto e torto.

Tale conclusione trova conferma in quello che abbiamo detto in esordio circa la differenza di struttura tra le due specie canoniche della responsabilità di diritto civile.

Se la linea discretiva è la preesistenza di obblighi, che caratterizza la responsabilità contrattuale ed invece manca nella responsabilità aquiliana, la responsabilità da violazione di obblighi che pur siano altri dall’obbligo di prestazione non potrà che metter capo a responsabilità contrattuale (è la conclusione alla quale perveniva già Hans Dölle nel 1943).

Quello che rileva sotto questo profilo non è il contenuto dell’obbligo (e perciò la differenza tra obbligo di prestazione ed obblighi altri), ma l’obbligo come tale, che nell’imporre un comportamento – diversamente da quanto accade nella responsabilità aquiliana, la quale invece non trae origine dalla violazione di alcun obbligo – pone la responsabilità come altro modo di essere di un vincolo che già esiste.

Da questo punto di vista non reca ostacolo nemmeno il 1173 (Fonti delle obbligazioni).

Se l’obbligazione è il vinculum iuris la cui esistenza mette in relazione giuridicamente rilevante soggetti prima estranei e tra i quali altrimenti solo a posteriori potrebbe nascere un rapporto obbligatorio, ad es. in seguito ad un danno ingiusto cagionato da uno ad un altro, allora anche gli obblighi diversi da quello di prestazione, imponendo a priori un preciso comportamento tra soggetti determinati, la cui mancanza dà origine a responsabilità, diventano rilevanti a tal fine.

{Marcello Maggiolo ha ritenuto che la determinatezza dei soggetti sia mancante nell’obbligazione senza prestazione e costituisca una delle ragioni di ripulsa di tale figura; in realtà essa non manca proprio perché è funzione dell’affidamento: soggetti nei confronti dei quali nasce un obbligo di protezione sono quelli nei quali l’affidamento si instaura: che essi non siano noti singulatim al debitore è cosa del tutto irrilevante: il soggetto professionale sa che tali soggetti ci sono o ci possono essere}.

E se, con riguardo al contratto ed al fatto illecito, il 1173 continua a riferirsi alle obbligazioni nel senso tradizionale del termine, il cui contenuto è costituito in primo luogo dall’obbligo di prestazione, “ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” è espressione in grado di contenere anche le obbligazioni consistenti in soli obblighi altri, le obbligazioni senza prestazione.

{Marcello Maggiolo ha criticato tale figura, ma in maniera non persuasiva.

Da un lato si nega che il rapporto obbligatorio sia e possa essere privo dell’obbligo di prestazione; dall’altro si nega che l’obbligazione senza prestazione possa costituire la forma giuridica atta a dare fondamento al risarcimento del danno meramente patrimoniale (riducendo arbitrariamente la portata della figura, che non riguarda soltanto tale danno), riputando che quest’ultimo possa trovare disciplina nel 2043 (Risarcimento per fatto illecito).

Quanto al primo assunto, esso è smentito dal 1337 (Trattative e responsabilità precontrattuale), che impone alle parti di comportarsi come tali quando ancora non esiste un obbligo di prestazione.

Quanto al secondo assunto, il danno meramente patrimoniale, in quanto sprovvisto della qualificazione di ingiustizia, non può diventare rilevante in sede aquiliana}.

Questo esito ricostruttivo, guadagnato dalla prospettiva generale della teoria delle obbligazioni e della responsabilità, viene a coincidere, da una via del tutto autonoma, con la figura coniata da Karl Larenz per semplice generalizzazione del rapporto originariamente chiamato precontrattuale: il rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione.

Nei termini di una pura generalizzazione la figura potrebbe sembrare neanche necessaria se è vero, come afferma Luigi Mengoni, che “quando una norma giuridica assoggetta lo svolgimento di una relazione sociale all’imperativo della buona fede, ciò è un indice sicuro che questa relazione sociale si è trasformata, sul piano giuridico, in un rapporto obbligatorio”.

{Questo assunto è stato criticato da Aldo Cecchini, con l’affermazione che la buona fede non possa in pari tempo essere regola del rapporto e fonte dello stesso.

In realtà la buona fede, come dice Luigi Mengoni, è sintomatica dell’esistenza di un rapporto obbligatorio ed è espressione sintetica degli obblighi di protezione in cui consiste.

La fonte del rapporto è perciò pur sempre la legge.

Nel caso del rapporto precontrattuale, e più in generale dell’obbligazione senza prestazione, il fatto in coerenza col quale la legge fa nascere gli obblighi sinteticamente espressi sul piano linguistico dalla buona fede è l’affidamento}.

Con riguardo al rapporto precontrattuale una norma del genere ricorre nel Codice civile italiano, ed è contenuta nel 1337 (Trattative e responsabilità precontrattuale).

{È opposto al nostro punto di vista quello di Enzo Roppo, il quale afferma che il dibattito sulla natura della responsabilità ex 1337 si va sdrammatizzando a causa della frequente commistione/indistinzione dei due tipi di responsabilità, che tende a sovrapporre od avvicinare i rispettivi regimi}.

A questo punto s’innesta la questione se, alla stregua del 1337, altre ipotesi non meritino identico trattamento in quanto da ritenersi analogamente presiedute dalla regola di buona fede.

 

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